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Pasqua a Lusaka

Lo scorso fine settimana, a Mthunzi abbiamo avuto ospiti un centinaio di adulti di gruppi carismatici della nostra zona di Lusaka. Si sono sistemati un po’ nelle stanze che abbiamo a disposizione per gli ospiti, un po’ nel workshop, un po’ nella biblioteca. Letti? Non se ne parla neanche. In Zambia, anche nelle capitale, in queste situazioni sono ancora abituati a portarsi in spalla, anche sui mezzi pubblici, una stuoia arrotolata che poi stendono sul pavimento e fa da giaciglio, mentre la borsa o sacca con le altre cose viene usata a mo’ di cuscino. Mi hanno chiesto di celebrare per loro e l’ho fatto molto volentieri, pero’ siccome ne avevo sentiti parecchi che durante la notte si erano messi a pregare, anzi a urlare, in lingue, li ho pregati di controllarsi, perche’ avevo un’ altra Messa nella frazione della parrocchia poco lontano da noi. E’ stata una celebrazione molto partecipata e con canti molto belli.

Poco dopo, nelle chiesetta di Tubalange, erano di turno le “stelle” (cosi qui chiamano i chierichetti femmine, per intenderci) ad animare la Messa. Scatenate, sono entrate per la processione iniziale, e solo dopo mi son reso conto che le magliette bianchissime, che sembravano nuove, avevano la pubblicita’ di una concessionaria d’auto di Figino Serenza, che per chi non lo sapesse e’ un paese delle Lombardia. Gli amici di Figino Serenza che potrebbero averle portate son passati di qui almeno 3, forse 4, anni fa. Come queste magliette siano ancora nuove e’ un mistero che non sono riuscito a chiarire.

Ma, sono parziale, lo so, le celebrazioni sono veramente speciali quando sono con i ragazzi di Mthunzi. Bisogna essere presenti –foto e video e registrazioni non bastano – per lasciarsi permeare dalla gioia del loro canto. In questi giorni di Pasqua poi, nei momenti dopo la Comunione il canto, la danza, le parole e il corpo diventano un’unica cosa. Io, goffo e stonato, li guardo, e mi pare che alcuni non tocchino neanche piu’ terra. E’ un’esperienza spirituale solo lasciarsi travolgere dalla forza che emanano. La gioa delle semplicita’ e della gratuita’.

2 Comments

  1. Carlotta says:

    Carissimo Abambo Kizito,

    metto qui la risposta al tuo post precedente, che credo comunque legarsi anche a questo.
    In questi giorni penso spesso a te, al Mthunzi, alla Casa di Anita….a figli, fratelli ed amici che sento di avere in molti luoghi lontani da qui.

    Oggi sono passata dal tuo blog, in cerca di riflessioni. Ci ho pensato anche quando a Riccione, poche settimane fa, mi è capitato di vedere un video che alcuni genitori fra quelli venuti a Nairobi per Natale avevano girato durante la lavanda dei piedi…ed ecco che ne rileggo il senso fra le righe del tuo ultimo scritto: nel nostro mondo, la leadership ha perso il suo significato di “guida”, di “esempio”; non è un compito che fa sentire responsabili, ma più spesso arrivati. L’incarico di un leader viene frequentemente vissuto come quello di un re, per non dire dittatore o padrone. Sembra che gli anziani, invece di trasmettere saggezza, sempre più spesso trattengono il potere; vi si aggrappano con le unghie e con i denti e ringhiano, al solo sospetto dell’arrivo di qualcuno che possa essere all’altezza o più capace di svolgere quella funzione. Ecco, appunto: funzione. Sarebbe bello che i capi di Stato, come anche molte altre figure che vengono elette in un sistema di rappresentanze, tornassero ad intendere il significato della loro carica come quello di un ruolo funzionale al buon andamento delle cose, concesso loro da chi, invece, sempre più di rado essi tengono in considerazione nello svolgere il compito ricevuto.

    L’esempio, la saggezza, l’impegno, l’obiettivo nel bene comune, l’esperienza resa bagaglio di vita, l’umiltà, sono cose che sempre meno ci arrivano dai cosiddetti “Grandi”. Forse questo detto africano “l’anziano sa vedere più lontano anche se non sale sull’albero” si riferisce a quegli anziani che, fra loro e gli altri all’orizzonte, non hanno uno specchio che riflette sempre e soltanto la loro stessa immagine.

    L’Africa mi ha insegnato e continua ad insegnarmi molto, come anche lo fanno i bambini e i ragazzi (africani e non) che ho incontrato e che incontro lungo il mio cammino.
    Porto dentro di me, indelebile come un tatuaggio, la storia dell’uomo che aveva solo un mango, che tu ci raccontasti durante una messa al Mthunzi centre. Mi colpì, sul momento. Ma mi segnò profondamente qualche giorno dopo, proprio durante la nostra prima messa a Tubalange officiata da te. Sedevo accanto a Rick (uno dei ragazzi del Mthunzi con il quale, in un modo che potrei quasi definire magico, avevo già instaurato un bellissimo rapporto di confidenza e di fiducia). Sul finire dell’offertorio, vedendo che non mi ero ancora alzata, con un gesto tanto semplice quanto rapido, Rick mi mise in mano una piccola banconota consumata e si avviò verso l’altare. Era la sua offerta e la divideva con me.
    Quella banconota assunse il peso di un mango. La guardavo come scossa e, per un tempo che mi sembrò interminabile, non riuscii ad alzarmi dal banco. Non solo! Gli occhi mi si riempirono fino all’orlo di lacrime e forse mi alzai, alla fine, solo per il timore di farmi veder piangere da lui che ritornava.
    Abambo, mai più mi scorderò di questo mango. E mai più potrò dubitare che un esempio semplice, eppure profondamente carico di vita, possa venire dal più piccolo fra noi.

    Spero di non averti annoiato!
    Ti auguro una buona Pasqua, caro Kizito. E spero di vederti quanto prima, magari in Italia, meglio in Africa.
    A presto, con affetto
    Carlotta

  2. Guido says:

    Caro Kizito,
    ho letto con piacere della Pasqua al Mthunzi e la riflessione di Carlotta.
    Anche io ricordo bene quel mango (“so juicy”) e quanto quel frutto ha rappresentato per noi che ti ascoltavamo… insieme alla banconota di Rick!

    In Zambia, se si vuole ascoltare, si impara sempre…

    Un caro saluto,
    Gui.

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