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July 12th, 2009:

Accogliere per Essere Felici

Fra le migliaia di parole che ci travolgono ogni giorno ce ne sono poche che val la pena di leggere e rileggere, ma la lettura di testi cartacei è da sempre uno dei miei passatempi preferiti.
Nelle ultime settimane ho letto con interesse e partecipazione due libri molto diversi, L’anima e il suo destino di Vito Mancuso, e Conversazioni notturne a Gerusalemme, del Cardinal Carlo Maria Martini. Ma i due autori italiani cristiani che più amo e che nelle loro parole offrono il nutrimento più solido sono Enzo Bianchi e Silvano Fausti. Le loro pagine possono essere lette e rilette trovandoci sempre qualcosa di nuovo, sono dei veri maestri. Fausti, forse con una cerchia di lettori più interessata alla missione, è gesuita e biblista, ed ha una rubrica fissa sulle pagine della rivista missionaria dei Gesuiti, Popoli, che a volte mi serve di riflessione e preghiera per un mese intero. L’ultima che mi è capitato di leggere è di grande densità, praticità e semplicità, anche se magari le hanno messo un titolo troppo astratto e intellettuale. E’ cosi bella che ve la propongo nel link alla fine di questo post.

Ci sono momenti di sconforto. Le ore passate e scrivere per la Polizia i dettagli dei fatti che hanno sconvolto la vita di Koinonia, la ferita profonda lasciata dalle falsità e dal tradimento subito. Inoltre problemi e drammi non mancano mai. Ieri mattina, prima delle 5 ero alla Shalom House, prevedendo una lunga giornata di lavoro. Poco dopo arriva Max, il trentenne che gestisce il nostro piccolo programma di video. E’ sconvolto, i vestiti sporchi, senza scarpe, anche se questi sono tra i giorni più freddi dell’anno. Mi racconta che poco dopo mezzanotte stava tornando a casa, sulla sua vecchia auto, con Kevin, il nostro ragazzo che sta studiando scienze sociali all’università, e Jean Baptiste Mahama, quasi trentenne, rifugiato. Hanno cercato di sorpassare un camion, in città, ma l’autista non li ha visti e senza segnalare ha girato tagliando loro la strada. Sono usciti di strada, si sono capovolti. Max è illeso, Kevin ha una brutta ferita alla testa, ma all’ospedale non lo hanno voluto neanche visitare perché avevano insieme in tasca solo il corrispondente di sette euro. Mahama è morto sul colpo. Era rifugiato dal Ruanda. Ai tempi del genocidio il papà Hutu aveva cercato di proteggere la moglie Tutsi e i familiari della moglie. Invece moglie e parenti sono stati tutti uccisi, e quando i “liberatori” Tutsi hanno preso il potere lo hanno messo in prigione, accusandolo di aver preso parte attiva al genocidio, dove è morto lo scorso anno. Mahama aveva allora dieci anni e col fratellino di quattro anni era riuscito ad arrivare a Nairobi, a piedi, facendo tutto il giro intorno al lago Vittoria, oltre mille chilometri. Altri rifugiati Ruandesi li avevano aiutati a sistemarsi nelle baracch intorno a Kivuli. L’ho conosciuto perché dopo aver finito la scuola superiore era vento a Kivuli a cercare lavoro da elettricista, e poi un anno fa un amico italiano di Koinonia gli ha pagato gli studi di ingegnere informatico. Faceva benissimo all’università, era ormai alla fine dl secondo anno, e insegnava nella nostra scuola di informatica intitolata all’amico Geremia. Mahama era quasi maniacalmente gentile e riconoscente con tutti coloro che gli hanno permesso di vivere e studiare a Nairobi. Aveva grandi sogni di rientro in Ruanda quando anche il fratello avesse terminati gli studi. Adesso possiamo solo pregare per lui, e trovargli un pezzettino di terra dove riposare in attesa delle Risurrezione.

Ma, come sempre, Dio manda i suoi segni. Forse piccoli, ma importanti. Alcuni di voi che hanno visto lo spettacolo italiano del Koinonia Children Team, si ricorderanno di George e Stephen, i due bambini che facevano la gag di rubarsi la sedia, per poi sedervisi insieme, abbracciati e sorridenti. Ebbene, la prima volta che sono andato a Kivuli, dopo il mio recente rientro a Nairobi, il primo a vedermi è stato George. Stava rientrando da scuola, ancora in uniforme. Mi è corso incontro e mi ha abbracciato, a lungo. Quando l’ho sentito tremare, con la mano gli ho alzato il mento, per guardarlo in faccia e pronto a consolarlo perché pensavo stesse piangendo. Invece sorrideva, tremava dalla gioia, e con quel suo sorriso tutto denti e sempre con una sfumature da presa in giro, mi ha detto “Padre, che cosa bella che tu sia tornato da noi”.

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