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January, 2008:

Un Nuovo Governo?

Martedi’ 8 e mercoledi’ 9. Sembrava tornata la calma. Ma l’annuncio dato ieri pomeriggio dal Presidente Kibaki di aver nominato alcuni ministri del nuovo gabinetto ha riacceso gli animi e rialzato la tensione. Kalonzo Musyoka, terzo secondo i risultati ufficali delle elezioni presidenziali, e’ stato nominato vice-presidente.

Mentre questo annuncio preregistrato veniva trasmesso dalle stazioni radiotelevisive, Kibaki de’ andato all’ aereoporto a ricevere John Kufour, presidente del Ghana e in questo momento anche presidente dell’ Unione Africana, che dovrebbe condurre i negoziati fra Kibaki e Raila Odinga.

Le nomina affrettata di 17 ministri e’ stata vista dall’ opposizione come una provocazione. Infatti tutti ragionevolmente speravano che Kibaki non avrebbe fatto altre mosse fino al termine dei negoziati, invece la nomina seppur parziale di un nuovo gabinetto mette l’ opposizione di fronte a fatti compiuti che rendono i negoziati sempre piu’ difficili.

Dopo l ‘annuncio ci sono state proteste in piazza a Kisumu e a Nairobi, particolarmente a Kibera, con manifestanti che hanno bloccato le strade, ma senza incidenti gravi.

Stamattina Kufour ha avuto incontri separati con entrambe le parti, ma non si ahnno notizie di cosa si sono detti, se non che Kibaki ha affermato che il suo governo e’ ormai operativo che che e’ disposto ad incontrare l’opposizione. La distanza delle posizioni politiche pero’ e’ ancora grande.

Ma la cosa piu’ urgente e’ evitare il ritorno della violenza. E’ tremendamente frustrante leggere e vedere in televisione gli uomini politici di entrambe le parti che muoversi con grandi auto da un albergo di lusso all’ altro, fare conferenze stampa, il tutto un un’ apparenza di grande dignita’, mentre scatenano la povera gente degli slums l’ un contro l’ altro. E’ indicativo che nei quartieri ricchi kikuyu, kamba, luo, luhya, maasai eccetera vivono fianco a fianco senza nessun problema.

Stamattina non riuscivo a dormire e alle tre mi e’ capitato di vedere un’ intervista alla CNN. Un giornalista americano domandava a un “eminente” uomo politico keniano che cosa aveva fatto per fermare la violenza. L’ intervistato ha fatto una risatina ed ha risposto che queste violenze avvengono normalmente, e’ come quando i tifosi del calcio fanno gazzarra dopo una partita molto contesa. Il giornalista, a questo punto a muso duro, gli ha fatto notare che una cosa ben diversa sono le zuffe fra tifosi, e un’ altra cosa sono violenze che lasciano oltre 600 morti e 300 mila sfollati. Al che l’ intervistato si e’ fatto pure serio ed ha detto che “noi abbiamo sempre condannato gli episodi di violenza e bla bla bla”. Senza volere ha rivelato l’ atteggiamento di troppi dei nostri politici keniani: la gente e’ solo una pedina nelle loro mani, con l’ obiettivo di arrivare o di tenere il potere senza curarsi delle soffrenze degli ingenui che credono alla loro promesse.

Stamattina alla Shalom House abbiamo anche avuto un incontro di due ore molto positivo, con rappresentanti di una decina di associazioni di base, tra di loro quattro di Kibera, che vogliono contrastare il clima di violenza con azioni di pace. Ci sara’ un altro incontro venerdi, e si pensa di fare qualcosa martedi prossimo, quando e’ prevista l’ inaugurazione del nuovo parlamento.

Domani vado a Lusaka, in Zambia. Il progetto con 70 ex-bambini di strada in residenza e oltre cento altri bambini in situazione di grave disagio seguiti mentre sono ancora con la famiglia, ha bisogno di una mia presenza.

Anche da Lusaka saro’ in contatto con Nairobi e continuero’ a scrivere riflessioni sul ruolo giocato in questi giorni dalla Chiesa, dalle agenzie internazionali, dai mass media e dalle associazioni per la pace.

Si torna a ragionare

Lunedi 7. La mattinata e’ stata molto tesa, ma poi e’ arrivato l’ annuncio che l’ opposizione ha rinunciato alla manifestazione prevista per domani – anzi avevano programmato una serie di manifestazioni in centro Nairobi ma anche diverse localita’ periferiche – e si e’ sentita la citta’ tirare un collettivo respiro di sollievo.

Raila Odinga , il capo dell’ opposizione, ha motivato questa saggia decisione il fatto che il Presidente – chiamiamolo cosi’ anche se e’ proprio la sua elezione che e’ contestata – ha detto di essere disposto a negoziare. Ed entrambe le parti hanno abbandonato le irresponsabili reciproche accuse di genocidio e pulizia etnica, il tipo di discorsi che servono solo ad infiammare ulteriormente gli animi.

Se la garanzia che il dialogo sta per incominciare e’ senz’ altro la casa principale di questo “cesste il fuoco”, ci sono anche altre ragioni. Raila ha percepito che la gente e’ stanca e che la manifestazione rischiava di essere un colossale fallimento. La gente e’ stanca, vuole tornare alla vita normale.

Sta emergendo inoltre che i pricipali protagonisti degli episodi di violenza che nella parte occidentale del Paese hanno generato circa seicento morti e oltre 200,000 sfollati sono stati i sostenitori dell’ opposizione. E questa violenza politica, mascherata da scontro etnico, non e’ condivisa dalla stragrande maggioranza dei Keniani, che vogliono continuare ad avere la possibilita’ di vivere in pace fra tutte le etnie. Se continuasse a creare occasioni per scontri violenti l’ Orange Movement – l’ opposizione – si dannaggerebbe gravemente, facendosi identificare con il partito della violenza.

Bisogna aggiungere che i Keniani sono molto sensibili allo sviluppo economico, e molti avevano cominciato a partecipare, o anche solo sognato di poter partecipare, alla crescita economica di cui il Paese ha goduto negli ultimi quattro anni, crescita che con il continuare della violenza sfumerebbe completamente. Anzi, e’ gia’ gravemente danneggiata. Oggi ho sentito tanta gente, anche a Kibera, commentare con statistiche sulla punta delle dita i problemi economici in cui il Kenya si e’ messo e che peggiorerebbero con la continuazione degli episodi di violenza.

Benvenuta quindi a questa decisione di Raila. I negoziati saranno lunghi e difficili, ma se si ferma la violenza fisica e brutale delle uccisioni, dei saccheggi, e si cerca una soluzione politica negoziata, si puo’ sperare di vincere anche le violenze istituzionali.

Aiuti per gli Sfollati

Domenica 6. Quasi mille persone che abitavano a Kibera sono sfollati nel Jamuhuri Show Ground, a meno di un chilometro da casa. Questa e’ la sede dell’annuale fiera agricola, e ci si arriva passando attrverso un campo di polo. Dalla parte opposta della strada ci sono dieci ettari di foresta, di proprieta’ degli Scouts, mantenuta com’ era centa’nni fa.Si e’ immersi nel verdi, uno dei posti piu’ belli di Nairobi per farsi una passeggiata. Poi improvvisamente, dopo una curva, si arriva a Kibera, le narici vengono assalite dalla puzza di una discarica abusiva, che tracima sulla strada. E’ il biglietto da visita di cosa ci si deve aspettare a Kibera.

Al Jamuhuri Show Ground gli sfollati sono sistemati provvisoriamente nelle strutture che servono per la fiera. La sistemazione e’ tutto sommato dignitosa, ma manca il cibo, i serivizi sanitari sono insufficienti e il disagio, la paura, l’ incertezza per il futuro sono dipointi sui volti di tutti. Parlo con alcuni di loro, chiedo di che cosa hanno bisogno, e mi accorgo che si sono persone di quasi tutte le etnie del Kenya. Tanti kikuyu, ma anche luo, luyha, kamba, maasai. Una donna mi spiega “quelli che bruciavano le case e le bancarelle all’ inziao hanno attacto solo i kikuyu, ma poi ci hanno preso gusto, e hanno saccheggiato semplicemente dove c’era piu’ da rubare”. Adesso qi c’e’ la protezione della polizia e sono tutti in fila, in attesa di ricevere avare razioni di farina e di fagioli che cuoceranno su fuochi imporvvisati..

Gli aiuti umanitari hanno incomincito ad arrivare. Le radio stamattina hanno annunciato che da Mombasa e’ partito un convoglio di camion che trasporta 650 tonnellate di granaglie e di olio commestibile. Alcuni si fermeranno a Nairobi, la maggioranza procederanno per Eldoret, che la scorsa settimana e’ stata l’ epicentro dlele violenze piu’ gravi, e dove di parla di oltre 150,000 sfollati. Gli aiuti umanitari, l’ ho visto dappetutto ma su ampia scala particolarmente in Sudan, portano con se quasi inevitabilmente un pesante fardello di dipendenza e corruzione, ma per questa povera gente vogliono dire una sopravvivenza meno stentata.

A Kibera tutto e’ calmo. I segni della violenza sono ancora evidentissimi: qualche decina di scheleti di veicoli bruciati ingombrano la strade, si vedono dappertutto negozietti e baracche bruciate. Nessuno ha cominciato a pulire e ricostruire. Si temono nuove vuolenza. La zona intorno alla casa in mattoni dove facciamo prima accoglienza per bambini di strada e dove avremmo dovuto cominciare a far funzionare un il centro di fisioterapia e’ invece illesa. Jack mi spiega che se la maggioranza di Kibera e’ per Raila Odinga, qui siamo proprio nella zona dei fedelissimi.

Anche fuori dall’ ufficio del District Officer si sta distribunedo farina e fagioli, e c’e’ una fila di qualche decina di persone. “Vedi quel ragazzo in fila? – mi chiede Jack lui e’ uno di quelli che ha bruciato le case degli altri, e casa sua non e’ stata toccata. E quell’ altro? E’ un ricco, non ha avuto danni, ma anche lui va a chiedere” …. e cosi via. La saga degli aiuti e’ incominciata. Speriamo che qualcosa arrivi anche alle vere vittime.

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Superare l’ Odio, senza rinunciare alla Giustizia

Sabato 5. La gente si muove normalmente, e’ un sabato mattina come tanti altri, con cielo limpido e un sole subito caldo. Prima delle otto vado a visitare una delle nostre case per ex-bambini di strada, Ndugu Mdogo. Quando entro sono tutti intorno ai tavoli apparecchiati per la colazione che stanno pregando. Una delle mamme mi spiega, sottovoce, che i bambini hanno loro stessi deciso di fare una preghiera speciale per la pace. Le preghiere sono lunghe e ripetitive, tutti ricordano i parenti a gli amici di Kibera, i feriti e i malati nell’ ospedale, i morti vittime della violenza. In tutte c’e’ l’impegno di mantenere la pace nella casa, di non essere tribalisti. Spesso si ripetono i nomi degli otti bambini ospiti della casa che erano andati passare il Natale con qualche parente e che non sono riusciti a tornare perche’ intrappolati dalla violenza. Ma anchne se le parole sono quasi uguali le espressioni che passano sui volti dei bambini sono diverse, ognuno ha le sue sfumature di paura, di sbigottimento e anche di rabbia. Quando hanno finito e attacano con determinazione il piattone di porridge col latte, Samuel, un quattordicenne di solito sempre allegro si sente in dovere di spiegarmi; “Non possiamo essere veramente in pace fino a che tutti i nostri otti fratelli che sono a Kibera non sono rientrati con noi”. Lo rassicuro, oggi ci si puo’ muovere senza difficolta’ e Jack andara’ a recuperarli uno per uno.

Si, la pace e’ tornata, almeno a Nairobi. E’ una pace difficile, le violenze dei giorni scorsi non possono essere cancellate cosi in fretta. Anche se gli episodi di violenza non si dovessero ripetere ci vorranno mesi per ritornare alla convivenza che era abituale fino a pochi giorni fa. Il rischio e’ che la soluzione politica della crisi, che sembra essersi avviata anche se le posizioni sono ancora lontane, prenda molto tempo e ci siano altri momenti difficili. Il risentimento che arde in molti keniani, sopratutto giovani che si vedono condannati ad una vita di poverta’, potrebbe ancora esplodere come violenza contro altri poveri. In occidente la disuguaglianza economica e sociale può essere affrontata attraverso la rappresentanza politica: partiti e sindacati possono portare queste istanze nei posti decisionali che contano. In Kenya tutto questo precipita nell’etnia, che maschera un conflitto che è prima di tutto economico e sociale. A Riruta, a Kawangware, a Kibera non si odia il landlord perché è kikuyu o luo, ma perché mi sfrutta, perché vive “alle mie spalle”.

Ordinariamente il risentimento viene gestito o attraverso un appartenenza religiosa – spesso seria e convinta – o “tenuto a bada” dall’alcol, dalla droga, e si sfoga individualmente nelle violenze domestiche e quotidiane. Tutto ciò non elimina le cause del risentimento, lo sopisce, ma è lì che cova pronto ad esplodere. Serve un “collante” che faccia confluire l’individuale nel collettivo, in qualcosa che riguarda tutti. L’etnia può essere utile allo scopo e dato che il fine giustifica i mezzi in ogni partita politica del mondo, la si usa. Come ha scritto il sociologo Fabrizio Floris che ha vissuto per mesi negli slums di Nairobi ed ha scritto libri anche ricchi di partecipazione emotiva, “si tratta di mascherare le ragioni del conflitto sociale, dare altri nomi e altre origini allo stesso. Usare parole persuasive e ripeterle in modo ossessivo finché non diventano vere. E’ la prima regola della sociologia “se qualcuno ritiene che un fatto sia vero questo lo diventerà nelle sue conseguenze”. Ma se i poveri insorgono nessuno può prevedere gli effetti di queste conseguenze”. Le responsabilita’ sono di chi li ha manipolati.

Abbiamo realizzato oggi l’ idea di Ken. Con un giro di sms abbiamo convocato tutti i gruppi acrobatici piu’ importanti di Nairobi. Abbiamo rispolverato le bandiere della pace e coi bambini di Kivuli abbiamo impovvisato nel cortile della Shalom House uno spettacolo con accompangamento di tamburi e canti: Piramidi umane composte da keniani i tutte le etnie, un grido per la pace. Per superare il risentimento, senza rinunciare all’ impegno per la giustizia.

Resta una nube nera, il pensiero di cio’ che sta veramente avvenedo nelle zone piu’ isolate del Western Kenya. Le notizie frammentarie e impossibili da veirficare che ci arrivano non sono per niente confortanti.

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Il Kenya che Vorremmo

Il 3 gennaio la tensione e’ cresciuta di ora in ora. La potevo misurare dal prezzo delle uova. Prima delle elezioni un uovo costava 6 scellini. Il mattino del 3 ne costava 8, nel pomerigio 10. A sera, dopo l’ annuncio dell’ opposizione che il 4 ci sarebbe stata un’ altra manifestazione di protesta, un uovo costava 12 scellini.

Ieri, il mattino del 4 verso le due ricevo un sms: “Kizito, siamo Kevin e Kenneth, i due acrobati. Vicino alla nostra casa di Kawangware c’e’ un grosso gruppo di mungiki, stanno progettando di dar fuoco a tutte le case dei luo. Possiamo rifugiarci da te, a Kivuli?”

Alle sei vado in auto verso la citta’. Strade vuote. L’ Uhuru Park circondato come ieri da poliziotti in tenuta antisommossa. Le schegge delle vetrine rotte di un supermercato che ieri e’ stato saccheggiato sono ancora sparse nel parcheggio.

Mi chiama padre Wanyoike: “L’ incontro dei giornalisti locali che avevamo pianificato per stassera deve essere cancellato. C’e’ una tensione enorme e tutti temono il peggio”.

Poi, verso le nove, si incomicia a capire che la manifestazione non ha nessuna possibilita’ di successo, e la tensione cala. Arrivano notizie che i manifestanti che si muovono verso l’ Uhuru Park sono poche centinai. Gia’ le migliaia che avevano manifestato il 3 erano immensamente lontani dal milione che Odinga aveva promesso di mettere in piazza, ma oggi sembra proprio che la gente sia stanca, prevale il bisogno di normalita’. Girano anche notizie che le due parti hanno deciso di dialogare. Alle dieci visito tre grandi supermercati che hanno appena riaperto le porte ai pochissimi clienti. Ma alle undici si e’ sparsa la voce della riaperture, le strade si riempiono di gente e di traffico, le donne degli slums arrivano con borsoni miracolosamente colmi di pomodori, cipolle, spinacci, e improvvisano mercatini anche sulle arteri pricipali. La gente si ferma, si contratta, i volti si distendono e si aprono in grandi sorrisi. E’ l’ Africa che conosco e amo. Forte, resiliente, amica, capace di sorridere anche nel dolore.

Faccio pranzo con un gruppo di acrobati, un incontro programmato da quindici giorni. Ken, lo stesso che dodici ore prima mi aveva mandato l’sms di panico ha un’ idea: “Domani invitiamo alla Shalom House tutti gli acrobati di Nairobi e facciamo una grande piramide umana. Ogni membro della piramide deve essere di una etnia diversa. E poi facciamo un comunicato di pace. Noi acrobati ogni volta che ci esibiamo dobbiamo avere una fiducai totale nel team, la nostra vita e’ nelle mani delgi altri. Cosi deve esswere il Kenya”

Ha appena finito di parlare che la radio annucia che i tentativi di mediazione sono iniziati e Kibaki e’ perfino disposto ad una ripetizione delle elezioni.

Le difficolta’ politiche restano, e le posizioni delle due parti non sono per niente addolcite. Ma ci si parla, e si spera che i machete torneranno ad essere usati solo per tagliare la legna.

Poi la doccia fredda. Dal Western Kenya, da sms e telefonate arrivano notizie raccapriccianti.  Si spera non siano vere, ma ancora una volta la notte e’ piena di fantasmi.

Gli Occhi della Paura

Una coppia chiede insistentemente di parlarmi. L’uomo ha una trentina d’ anni, e appena mi siedo accanto a lui inizia un racconto confuso, parlandomi del figlio, Evans, come se io dovessi conoscerlo bene. Gli chiedo di spiegarmi chi e’ lui, chi e’ suo figlio e cosa posso fare per lui. E’ sorpreso che non lo abbia riconosciuto, e tira fuori dalla tasca di una giacca vetusta – e’ ormai chiaro dall’ attegiamento, e dai vestiti che indossano che sono due persone di condizione estremamaente modesta e che hanno prpearato questo incontro con solennita’ – un foglio spiegazzato. “Sono il papa’ di Evans” mi ripete come spiegazione “al quale tu hai scritto questa lettera”. E’ il foglio stampato con cui invitavo le famiglie di Kibera che hanno figli bisognosi di fisioterapia a venire al piccolo centro la cui attivita’ avrebbe dovuto iniziare proprio oggi. Jack, riconosco la calligrafia del nostro giovane assistente sociale, ha scritto sulla linea tratteggiata iniziale Evans Njoroge, un nome che identifica subito un kikuyu. Incomincio a capire, e l’ uomo mi spiega ulteriormente, “Vedi, Jack e’ venuto a trovarci in casa, quando i nostri vicini gli avevano detto un mese fa che avevamo in figlio che non puo’ camminare da solo” E la donna interviene timidamente: “E’ stato molto gentile, ha detto che lo mandavi tu personalmente, e che saresti anche venuto a trovarci.”

Incorreggible mania africana, tutto, nel bene e nel male, e’ basato sul rapporto diretto fra le persone. L’ idea che io possa aver semplicemente scritto, firmato e fotocopiato un foglio per distribuirlo a persone che non conosco non li ha neanche sfiorati. Se sul foglio c’ e’ il nome del figlio significa che in qualche modo so della loro esistenza ed ho stabilito un rapporto di conoscenza.

Evans e’ appena fuori dalla porta, semisdraiato sulla una panchina di cemento, e appena mi vede cerca di alzarsi usando due grosse stampelle di legno, che probabilmente pesano piu’ di lui.. Avra’ si e no sei anni, le gambe rinsecchite e piegate, gli occhi impauriti.

Intanto il papa’ continua; “Siamo kikuyu, fino all’ altro giorno lasciavamo Evans nella nostra baracca a Kibera da solo, quando noi durante il giorno gestiamo un banchetto di frutta e verdura. Ma adesso non ci fidiamo piu’, i nsotri vicini potrebbero ucciderlo, o bruciare la baracca con lui dentro. Abbiamo trovato una baracca da affittare qui vicino alla tua casa per bambini di strada, ci sentiamo piu’ sicuri, non vogliamo tornare a Kibera. Pero’ non abbiamo i soldi per l’ affitto, facci un prestito, te lo restituiamo il mese prossimo. Aiutaci per piacere in nome di Dio”. L’ affitto per un mese un una baracca senza acqua e luce e’ di 800 scellini, circa 9 euro.

Non sono i soli che oggi sono venuti a cercare aiuto. La manifestazione organizzata dall’ opposizione in centro citta’ e’ fallita da qualche ora, contro un imponente spiegamente di forze di polizia. Forse gli animi si sono calmati. Ma la gente teme la notte, quando anche il piu’ piccolo rumore che fino a una settimana fa era considerato normale,adesso fa sobbalzare nel sonno, nel timore che si stia avvicinando un gruppo di assassini.

(scritto la sera del 03/01/08 per La Repubblica)

Kenya post-election violence: How can we defuse the crisis?

I quasi duecento morti accertati che abbiamo visto in questi giorni sulle strade del Kenya sono il risultato di una politica malata, fondata sull’ idolatria del potere e dei soldi, una religione che e’ stata alimentata dagli uomini politici keniani fin dall’ indipendenza.

Mentre scrivo, il mattino del 2 gennaio, la tensione per le strade di Nairobi, in particolare di Kibera, e’ diminuita. Evidentemente la gente ha bisogno di tornare alla vita normale, di guadagnare qualche soldo. Ma le notizie che giungono dal Western Kenya continuano ad essere allarmanti. D’ altro lato i problemi che hanno dato origine alle violenze rimangono, e nelle prossime settimane, quando il parlamento dovra’ essere convocato, molti nodi politici verranno al pettine, ed e’ probabile che la tensione torni a salire.

A questo punto la possibilita’ che ci siano stati dei brogli elettorali appare probabile. Ora emerge chiaramente che durante il giorno dell’ elezione ci sono state intimidazioni, non necessariamente violente, e che in parecchi seggi sono stati comperati dei voti. Questo riguarda entrambi i partiti che erano in corsa per le presidenza, PNU e ODM, ma non dovrebbe aver influenzato i risultati in modo determinante, anche se e’ un’ ovvia indicazione di un atteggiamento non democratico. Cio’ che potrebbe essere stato determinante invece potrebbero essere stati dei brogli al momento della conta generale dei voti. Ma finora nessuno e’ stato capace di dare prove chiare e sttribuire responsabilita’ precise. Personalmente ho sentito persone che raccontano di voti comperati dall’ ODM sula costa, ma che non sono disposti a esporsi. I documenti che l’ ODM ha assicurato di possedere e che proverebbero brogli su larga scala al momento della conta non sono finora stati esisbiti.

Per capire l’ attuale contesto politico keniano bisognerebbe risalire almeno al 1982, quando, dopo un tentativo di colpo di stato, l’ allora Presidente Moi ha traformato il Kenya in una dittatura brutale, pur mantenendo alcuni elementi di facciata che lo potevano spacciare per una democrazia. Il tutto, e’ bene notare, sempre restando fedele alleato e protetto dalla Gran Bretagna e degli USA, e amico dell’ Occidente. Sarebbe troppo lungo seguire dall’ ’82 ad oggi la carriera politica dei due principali protagonisti della crisi odierna, Mwai Kibaki e Raila Odinga. Basti dire che da allora ad oggi entrambi sono stati alleati di Moi e avversari di Moi, alleati con tutti e avversari di tutti, anche tra di loro. Per entrambi non si puo’ parlare di una posizione ideologica, ma sempre e solo di alleanze per arrivare al potere. Entrambi hanno una rilevantissima fortuna personale, che in qualche caso non esistano ad ostentare. E’ famosa la Hummer di Raila, un fuoristrada che costa diverse decine di migliaia di euro e che fa due kilometri con un litro, usato da Raila per visitare Kibera, il piu’ grande slum di Nairobi, che fa parte del suo collegio elettorale. Per entrambi, credere che siano motivati da desiderio di servire il paese o che siano paladini delle democrazie e dei poveri, e’ cadere vittima di una pericolosa illusione. Il loro atteggiamento e’ descritto bene nell’editoriale del 1 gennaio del The Nation: “Neither the Party of National Unity nor the Orange Democratic Movement during the campains demonstrated any particular restraint or regard for the country’s stability. The mantra appears to have been: We either rule it or burn it.” (Ne il Party of National Unity ne l’ Orange Democratic Movement durante le campagne (elettorali) hanno dimostrato particolare controllo o rispetto per la stabilita’ del (nostro) paese. Il mantra sembra essere stato: o lo governiamo o lo bruciamo”. L’ incontrollata sete di potere, e di proteggere col potere le ricchezze piu’ o meno legalmente acquisite, e’ il motore dell’ attivita’ politica di questi partiti.

Detto questo, bisogna fare delle distinzioni. Mwai Kibaki ha quando e’ andato al potere cinque anni fa, ha fatto delle riforme importanti, come l’ educazione gratuita per gli otto anni di scuola elementare, come il garantire la liberta’ di espressione e di stampa (per cinque anni non abbiamo avuto prigionieri politici e tanto meno assasini politici come avveniva con Moi, e mai in Kenya una campagna elettorale e’ stata libera come quella dello scorso mese, etc), come una serie di provvedimenti economici che hanno fatto ripartire l’ economia del paese, che negli ultimi anni di Moi aveva una crescita negativa e invece dal 2004 e’ cresciuta di oltre il 5 % all’ anno. Due i sono i grandi falllimenti di Kibaki. La corruzione pervasiva, ereditata dai 24 anni di malgoverno di Moi, non e’ stata combattuta con l’ efficacia e la determinazione che il cittadino comune avrebbe voluto. E’ stata si ridotta di molto, ma resta un cancro che pervade tutta la sociata’ keniana. Inoltre, la nuova costituzione promessa da Kibaki appena eletto non e’ stata ancora approvata, e la conseguente promessa di decentralizzazione del potere non e’ stata onorata.

Dal canto suo Raila Odinga, andato al governo come membro della coalizione di Kibaki cinque anni fa, e’ poi passato all’ opposizione sulla questione della nuova costituzione, e e’ riuscito a far bocciare la costituzione proposta da Kibaki con un referendum due anni fa. L’ ODM e’ nato dallo slancio di aver fatto bocciare la costituzione e da allora Raila ha accentrato il potere del movimento ed ha esasperato la questione tribale. Da oltre un anno ormai la parola d’ ordine fra i luo, che e’ l’ etnia di Raila e che ha un peso proponderante nel ODM come invece i kikuyo sono le’ etnia di Kibaki con un peso preponderante nel PNU, e’ stata “e’ arrivato il nostro turno di governare il paese” per poi trasformari piu’ recentemente in “se perdiamo le elezioni vuol dire che ci sono stati brogli”. Raila poi durante la campagna elettorale ha giocato due carte pericolose. Prima ha promesso di implementare il “majimboism”, una specis di regionalismo che era stato negli anni novanta proposto da Moi e rifiutato da Raila, senza specificare che contenuti avesse questo majinboism, lasciando cois temere, anche riferendosi alla storia personale di Raila, che si trattasse concretamente di una specie di rigido regionalismo che avrebbe frazionato il Paese. Successivamente ha firmato con I notabili della comunita’ musulmana un Memorandum of Understandig i cui contenuti non sono mai stati divulgati con chiarezza. I suoi avversari, e molti cristiani, hanno comunque questo MoU comunque come un errore perche fa una distinzione fra i cittadini kenyani basandosi sull’ appartenenza religiosa, e questo e’ gia’ contro la costituzione in vigore, cosi come contro il progetto di costituzione dell’ ODM.

Kibaki e il suo gruppo non hanno trovato di meglio che reagire a questa campagna che alzando steccati e lasciandosi imprigionare nella trappola delgi stereotipi etnici. Questa etnicizzazione della politica e’ cosi responsabilita’ esclusiva dei lidears. Per citare ancora l’ editoriale del Nation, indirzzandois a Kibaki e Raila, afferma: “Never has there been so much animosity between people who have lived together as good neighbors for many years. The chaos we are now experiencing is the handiwork of the tribal, economic and political elite, which identify with you.” (“Non c’e’ mai stata tanta animosita’ fra gente che ha vissuto insieme per molti anni come buoni vicini. Il caos che stiamo vivendo ‘e il prodotto dell’ elite tribale, economica e politica che si identifica con voi”).

Che l’aspetto etnico sia diventato centrale non lo si puo’ negare. Inutile girare intorno al problema. Odinga in primo luogo, ma anche Kibaki e il suo partito, negli ultimi tre anni, per ragioni di opportunita’ politica personale, hanno fatto tutta una serie di passi intenzionali, e a volte magari solo passi sbagliati, che hanno alimentato l’ animosita’ etnica.

Entrambi I partiti usano salturiamente, sopratutto nei momenti cristici, l’ appoggio dei “mungiki” e delle sqaudre organizzate e pagate di giovani disoccupati e disperati.

I mungiki sono nati all’ inizio degli anni novanta come una comunita’ di kikuyo che voleva tornare alla religione ancestrale, la venerazione di Ngai (Dio) rappresentato dal monte Kenya, ecc. Lentamente questo gruppo e’ degenerato in una specie di piccola mafia che a Nairobi ha controllato per esempio alcune della linee di trasporto, e che riesce a mobilitare gli adepti anche per azioni violente e criminali. In questo gruppo ci sono ora anche non-kikuyo ma tendenzialmente si identificano con la difesa delle comunita’ e degli interessi kikuyo. A questa setta parareligiosa si contrappongono le squadre di giovani disoccupati di Kibera controllate da Raila Odinga, e delle quali Raila si e’ sempre servito per provocare disordini di piazza, piu’ di una volta all’ evidente ricerca dei morti da poter poi usare per I propri scopi.. Sono i due volti peggiori dello scontro in atto.

Non sono sicuro di cosa sia successo nelle altre localita’, le notizie sono frammentarie e sempre di parte. A Nairobi pero’ posso dire che la maggioranza delle vittime di questi ultimi giorni on sono state uccise negli scontri con la polizia, ma da azioni organizzate da questi due gruppi. Cosi a Kawangware, dove i kikuyo sono prevelenti, hanno attaccato case e piccole attivita’ artigianali dei luo, e l’ opposto e’ avvenuto a Kibera. Purtroppo poi come sempre capita a farne le spesa sono le persone inermi e innocenti. Il mattino del 31, dopo la notte di peggiori violenze che siano finora avvenute a Kibera, un amico Kamba mi raccontava terrorizzato di aver visto a poche decine di metri dalla sua baracca di Kibera i corpi di 4 suoi vicini e conoscenti, kikuyo, che erano stai sgozzati con un coltello da cucina. Lo stesso sta avvenendo in eastern Kenya, cme mi ha testimoniato una volontaria italiana: I negozi e le case dei pochi kikuyo che vi vivono sono metodicamente attaccati e bruciati e i proprietari “invitati” e rientrare nella loro regione. Un majimboism della peggior specie.

Questa crisi l’ abbiamo vista arrivare, ma nessuno na aveva capito la poteziale distruttivita’ e la carica di tribalismo che stava prendendo. I sondaggi che sono stati pubblicati dai media Kenyani negli ultimi mesi facevano vedere come la gente continuasse ad avere una sostaziale fiducia nel presidente e sempre meno fiducia nel sul partito. Mentre molti che erano favorevoli ai cambiamneti promessi dall’ ODM erano meno entusiasti verso Raila, percepito come un uomo politico con tendenze dittatoriali. Cosi oggi i risultati delle elezioni, prendendo come autentici quelli ufficiali, rendono il paese ingovernabile, con un presidente nel quale sono accentrati molti poteri ma che e’ un minoranza in parlamento, e che quindi non puo’ governare, e con una rivalita’ tribale che e’ sfuggita probabilmente anche al controllo di chi l’ ha scatenata.

E le due parti sembrano ormai fisse su posizioni che non ammettono il dialogo. Un amico giornalista kikuyo mi pare possa rapprentare una mentalita’ comune: “Io ho votato nel mio collegio elettorale per un parlamentare dell’ ODM, perche’ credo che l’ ODM possa avere in parlamento una funzione importante di controllo su un possibile strapotere del Presidente, ma non accetterei mai Railia come Presidente. Con lui al potere fra cinque anni non avremmo elezioni truccate. Non avremmo elezioni, punto e basta”.

Come sbloccare la situazione?

Innazittutto e’ importante che Kibaki e Raila accettino di muoversi nella legalita’, rispettando la legge la costituzione vigente, rinunciando entrambi alle manifestazioni di piazza che inevitabilmente provocherebbero morti e feriti. E servirebbero solo ad inasprire le divisioni e creare un piedestallo per i due leaders: I miei morti sono piu’ dei tuoi.

Il parlamento, cosi come risulta dai risultati elettorali annunciati, deve essere convocato e la Giustizia deve lavorare indipendentemente per esaminare le reciproche accuse di brogli. Ma non basta, Kibaki deve accettare una seria revisione delle elezioni e la riconta dei voti con la presenza di un monitoraggio internazionale. Non c’e’ altra alternativa se vuole garantire la sua legititmita’.

Ma la cosa piu’ importante e; che Kibaki e Raila dialoghino. Kibaki finora ha reagito con la repressione, Raila punta sulle manifesta zioni di piazza che gli diano legittimita’. Ma e’ una strada di confronto che non puo’ portare lontano e che rischia di bloccare il paese in un conflitto irrisolvibile. La diplomazia internazionale deve aiutare il Kenya, Gran Bretagna e USA devono aiutare a avviare il dialogo, la Comunita’ Europea puo’ avere un influnza inportante. L’ Unione Africana potrebbe aiutare a prender tempo. Tutte le possibili pressioni devono essere fatte su queste due persone e i partiti che rappresentano finche’ accettino il fatto che il Kenya e’ piu’ importante di loro, e che devono collaborare.

Ma in ultima analisi la pace non puo’ venire dal di fuori, deve nascere dal di dentro, per poter superare definitivamente le difficolta’ e gli odi seminati negli ultimi mesi e nelle ultime settimane. Un’ ipotesi possibile sarebbe quella di recuperare il “terzo uomo”, Kalozo Musyoka, che e’ cosro per la presidenza ottendneo quasi messo milione di voti. Appartiene ad un’ etnia minoritaria, non ha mai usato ne pubblicamente ne privatamente, da quanto si sa, il linguaggio dell’odio tribale, ha competenza e cpnoscenza della situazione politica del Paese. Potrebbe diventare il mediatore interno ideale, capace di far muovere avanti un processo di riconciliazione che non puo’ essere imposto dal di fuori.

Il dialogo fre le due parti deve cominciare al piu’ presto. Non si puo’ aspettare. Bisogna evitare la manifestazione di piazza di domani. Se questa manifestazione dovesse andare avanti, che il governo si opponga o no, non ci sono dubbia che scatenera’ un nuovo ciclo di violenza e morte che rendera’ ancora piu difficile la possibilita’ di una riconciliazione.

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