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Chiamiamolo Otieno

“Ma e’ vera la storia del ragazzino che hai raccontato a Le Invasioni Barbariche?” mi hanno chiesto diversi amici.

Certo. E’ una storia vera.

Circa un mese fa, quando la tensione era ancora molto alta in tutta Nairobi, sono tornato a Kivuli, dove vivo, verso le sette di sera. Stavo entrando in casa, sperando finalmente di potermi rilassare per una mezz’ ora prima di cena, quando mi si e’ avvicinato uno dei ragazzini arrivati di recente, chiamiamolo Otieno, chiedendomi di potermi parlare. Stavo per dirgli di tornare un altro momento, ma poi, sospirando ed aspettandomi di sentirmi raccontare qualche semplice incomprensione fra bambini, l’ ho fatto sedere su uno degli sgabelli ho sempre a disposizione fuori dalla porta e mi gli sono messo accanto, chiedendogli di dirmi velocemente che problema avesse.

“Vedi padre, io con questa vita non ce la faccio più”, ha esordito. Mi son subito messo ad ascoltarlo con più attenzione e mi son venute in mente mille possibilità’. Non riesce ad inserirsi a Kivuli perché non e’ accettato degli altri o perché dopo la vita di strada non riesce ad adattarsi alle pur minime regole che chiediamo ai bambini? O a scuola che le cose non vanno bene, si sente ridicolo ad andare in una classe un cui tutti gli altri bambini sono di almeno due anni minori di lui? O, peggio, mi e’ venuto in mente il ragazzo di vent’anni che a Mthunzi, la nostra casa a Lusaka, lo scorso settembre aveva tentato di suicidarsi perché in un momento di depressione, dopo essere riprecipitato nell’ uso dell’erba, gli sembrava che la vita non avesse più significato?. Non ho detto niente e son stato ad aspettare. “No, cosi proprio non ce la faccio” ha ripetuto Otieno serio serio e scuotendo la testa.

Cominciavo a preoccuparmi seriamente, e gli ho chiesto di spiegarmi bene cosa non andavava. E lui, con un’ espressione preoccupata come se si aspettasse un rimprovero, “Vedi padre, questa vita non fa per me. Tu mi devi insegnare come si arriva alla vita vera. Io voglio la vita vera, quella di cui parla Gesù’. Voglio essere battezzato e vivere da cristiano”.

Ho tirato un sospiro di sollievo e gli ho detto che certamente potrà’ essere battezzato, facendo il cammino di catecumeno con il gruppo di coetanei nella parrocchia vicina a Kivuli. “Davvero posso diventare cristiano, essere battezzato? Io che non ho famiglia e che ho vissuto in strada per cinque anni?” Il volto era ormai raggiante.

Poi Otieno ha insistito per raccontarmi la sua vita. Come, quando aveva sei anni e viveva in un villaggio sperduto vicino al lago Vittoria, avesse insistito col papa’ perché voleva andare a scuola e finalmente il papa’ aveva ceduto e una mattina erano partiti insieme per andare in autobus a Kisumu dove avrebbe potuto vivere con dei parenti ad andare a scuola. Ma l’autobus era uscito di strada e rotolato giu’ per una scarpata, e quattro persone erano morte, tra le quali suo papa’. Aveva aspettato i soccorsi per sei ore, vicino al cadavere del papa’. Successivamente la mamma era riuscita lo stesso a fargli frequentare la scuola per tre anni, ma poi anche la mamma era morta di una malattia misteriosa, e allora era venuto da solo a Nairobi, nascondendosi in un camion, fra i sacchi di pesce secco. Dopo giorni di vagabondaggio e di fame, aveva trovato a Kibera un uomo anziano originario del suo villaggio, che viveva da solo e lo aveva preso in casa. Andava a lavorare con lui al mercatino della frutta e verdura, ma dopo qualche mese si era fatto degli amici in strada, ed era andato a vivere con la loro banda. Poi il desiderio prepotente della scuola lo aveva fatto cedere alla pressione di Jack che per mesi lo aveva conosciuto e cercato di convincere di venire a Kivuli. “Jack mi diceva che io avrei potuto farcela, avevo perso solo due o tre anni di scuola, e quindi ho chiesto che mi portasse a Kivuli”.

Dopo aver sentito la storia di Otieno, volevo quasi subito scriverla nel blog e fargli una foto da allegare. Ma poi avevo pensato che non avrei comunque potuto allegare la foto perché’ solo per catturare la luminosità’ dei suoi occhi ci sarebbero voluti qualche centinaio di megabites, e poi perché’ volevo proteggere la sua privacy. Invece quella sera durante l’ intevista della Bignardi, il volto di Otieno mi e’ tornato in mente con prepotenza ed ho pensato raccontare questo episiodio avrebbe potuto aiutare qualche ascoltatore a riflettere.

4 Comments

  1. Paola says:

    Che meraviglia! Quante volte noi cristiani metripolitani ci dimentichiamo di avere occhi occhi brillanti e ci imbruttiamo, chiusi nel nostro egoismo! Grazie, P.

  2. Tommaso says:

    caro Kizito, mi hai dato un momento di consolazione raccontandomi sia in TV sia sul blog di otieno; rinasce la speranza nonostante le realtà poco entusiasmanti che capita a un povero prete di vivere in Italia.
    Si allarga il cuore e sembra di vivere in un mondo più largo delle nostre “povertà”
    ciao
    don Tommaso

  3. laura says:

    Caro Padre Kizito,
    ancora una volta essere in contatto con Te è fonte di speranza e dolcezza. Il piccolo Otieno (è un nome oppure ha anche un significato?) sarà un pensiero serale e per lui dirò una preghiera in più. Anche senza foto mi immagino il suo faccino, tutto occhi. Grazie ancora una volta e un abbraccio. laura

  4. dorina says:

    Potessi anch’io dire con convinzione ” con questa vita (da cristiana per modo dire….) non ce la faccio più” Avevo ritagliato e conservato un trafiletto da F.C.PER AIUTARE QUESTI RAGAZZI E TANTI ALTRI che questa capitandomi tra le mani ho ricollegato alla trasmissione vista in TV.Grazie per la testimonianza

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