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June 14th, 2008:

Amnistia e Perdono

n Kenya e’ tornata la pace. O almeno cosi sembra. A Nairobi, anche negli slums che ne erano stati piu’ fortemente colpiti, i segni della violenza stanno rapidamente scomparendo. Strutture provvisorie sostituiscono e nascondono le strutture precedenti che spesso erano solo poco più che provvisorie. La centrale telefonica di Jamuhuri che era state bruciata in uno dei peggiori incidenti dello scorso gennaio, a due passi dalla casa provincializia dei comboniani, e’ stata frettolosamente riverniciata per nascondere i segni delle fiamme e del fumo, anche se ancora non ha ripreso a funzionare.

Ma, per quanti sforzi faccia, il presente governo di grande coalizione – con ben 42 ministri ed una pletora di sottosegretari, fra di loro molti personaggi che lo scorso gennaio apparivano essere nemici acerrimi e che hanno irresponsabilmente alimentato la violenza per i loro scopi politici – non riesce a far dimenticare che ci sono stati oltre millecinquecento morti e un numero ancor piu’ difficile da definire,ma comunque vicino al mezzo milione, di rifugiati. La vernice copre solo le apparenze, non la sostanza.

Due sono le azioni che il governo sta cercando effettuare nel tentativo di far dimenticare il recente passato: un’ amnistia generale per coloro che sono stati responsabili delle violenze post-elettorale, e il ritorno immediato degli sfollati nelle loro case. Le modalita’ usate sono pero’ cosi rozze e improvvisate che rischiano di esacerbare gli animi e provocare un rigurgito di violenza, piuttosto che riavvicinare i tempi della riconciliazione.

L’ amnistia e’ propugnata principalmente da coloro che erano parte dell’opposizione. Ogni pochi giorni alcuni di loro la ripropongono come un atto di clemenza quasi dovuto a chi “ha salvato la democrazia keniana”. Regolarmente altri membri del governo si oppongono ricordando che questi salvatori della democrazia hanno comunque commesso gravi atti criminali, come incendiare, saccheggiare ed uccidere. Per qualche giorno non se ne parla piu’, ma poi i difensori della necessita’ dell’ amnistia tornano alla carica. Il perche’ di questa insistenza e’ abbastanza evidente: tutti sanno che ci sono prove schiaccianti che la’ dove la violenza e’ stata premeditata e organizzata, i responsabili sono alcuni “uomini politici” (fa abbastanza impressione chiamarli cosi’) che sono attualmente al governo, e che sperano che una amnistia generale scoraggi ogni ulteriore indagine.

Uno sfollato che, come tanti, invece di andare in uno degli appositi campi organizzati dal governo ha trovato un tetto preso suo fratello in una baracca vicina a Kivuli, mi diceva qualche giorno fa: “Il ministro *** chiede a gran voce l’ amnistia. Lo capisco benissimo, forse farei lo stesso se fossi al suo posto, visto che e’ l’auto di sua moglie che ha portato le tanche di benzina che son servite a bruciare la mia casa, e non solo la mia. E nella mia casa c’era ancora dentro mio figlio di due anni, John. Potra’ lui restituirmelo?”

Effettivamente, l’amnistia sarebbe in Kenya solo un’ altra parola per affermare l’ impunita’ di cui gli uomini politici hanno goduto dall’ indipendenza ad oggi. Sono qui da oltre vent’anni  e non ricordo di un uomo politico che abbia pagato per le sue malefatte. L’ impunita’ dei potenti e’ parte del sistema ereditato dal colonialismo inglese. Ma oggi non ci si puo’ piu’ nascondere dietro le colpe degli altri, Bisogna che giustizia sia fatta e che tutti vedano che giustizia e’ stata fatta, se si vuole veramente interrompere il ciclo dell’ impunita’. Una povera e semplice giustizia umana, ma pur sempre una dimostrazione di serieta’ e di rispetto per coloro i cui diritti sono stati gravemente violati.

Continua il mio interlocutore: “Io sono cristiano, ed ho pensato molte volte che dopotutto dovrei perdonare. Ma l’ amnistia mi rende impossibile il perdono, perche’ cosi non sapro’ mai chi e’ il colpevole. Anche il confessionale il prete da’ il perdono di Dio solo a chi ammette la propria colpa.”

Ha ragione. Il perdono cristiano e’ un dono e una grazia. Grazia per chi lo offre, e dono per chi lo riceve. Ma la giustizia umana dovrebbe fare il suo corso. La riconciliazione vera e’ possibile solo dopo un’ ammissione di colpa.

Il ritorno degli sfollati alle loro case e’ pure ostacolato dal risentimento, paura e odio che sono nati durante i drammatici episodi di gennaio, nonostante il governo assicuri che questo rientro sta procedendo bene. L’ operazione “Rudi Nyumbani” (ritorno a casa) e’ stata lanciata gia’ nel mese di maggio, con il supporto dei mass media, ma con poca o nulla preparazione. Persone a cui e’ stata bruciata la casa dai vicini, e che hanno visto uccidere i propri cari, si sono sentite dire “tutto e’ finito , preparatevi che domattina vi riportiamo a  casa” e il mattino successivo sono stati caricati su un camion e portati fino a casa. O meglio fino a dove abitavano lo scorso dicembre, perche’ hanno trovato una casa o capanna bruciata, campi devastati, pozzi inquinati. E sono stati lasciati li solo con un piccolo aiuto, qualche coperta, pochi chili di farina di polenta e di fagioli. Le agenzia umanitarie molta piu’ difficolta’ a raggiungere coloro che sono ritornati, era piu’ semplice aiutare gli sfollati quando erano ammassati nei campi.

Dice il mio vicino che alcuni sui parenti sono tornati nell’ area in cui anche lui viveva, ma poi, dopo una settimana, sono ritornati nei campi sfollati. A “casa” era difficile vivere, mancava tutto e i vicini erano ostili. Che senso ha ritornare in queste condizioni? Potrebbe essere solo la preparazione di nuove violenze.

Come ha detto Peter Kairo, arcivescovo di Nyeri, che lo scorso gennaio era vescovo di Nakuru, una delle area piu’ devastate dagli scontri “la rivalita’ etnica che ha fatto esplodere la violenza e’ ancora molto alta e la sola presenza della polizia non bastera’ a restaurare la pace.”

Mons. Cornelius Korir, vescovo di Eldoret, e’ fra coloro che piu’ si sono prodigati per alleviare le sofferenze di tutti, senza distinzione. Migliaia di sfollati sono vissuti per settimane accampati dentro e fuori la sua cattedrale.  Adesso e’ fra i promotori di una seria campagna di pace e riconciliazione, ed ha recentemente osservato che “d’ ora in poi, gli anziani delle diverse comunita’ dovrebbero essere capaci di identificare i segnali di conflitti latenti, e dovrebbero intervenire subito per risolverli, invece di intervenire solo per rimediare agli effetti negativi.”

Apparentemente parlava agli anziani di alcuni villaggi. Ma il suo consiglio dovrebbe essere seguito sopratutto dai leaders dei partiti politici rivali, o scorso anno hanno fatto esattamente l’ opposto, cioe’ alimentato il conflitto per trarne il maggior vantaggio possibile.

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