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I Nuba e Dio

La scorsa settimana ho visitato i Nuba, al centro del Sudan, in occasione della chiusura dell’anno scolastico nelle tre scuole che Koinonia con l’ aiuto di Amani e di altre associazioni  gestisce ormai da parecchi anni, due scuole elementari, ciascuna con quasi 700 alunni, e una scuola per maestri, residenziale.

Ovunque la cerimonia della consegna della pagelle. Nell’ istituto magistrale, dove ci sono alunni che provengono da distanze che si coprono in tre, quattro, cinque giorni di cammino, l’atmosfera e’ quella che si respira in tutto il mondo negli ultimi giorni di scuola, a meta’ fra gioia e malinconia: finalmente si torna a casa, ma non vedro’ più gli amici, fino a ottobre, e magari per molti anni a venire per chi ha completato il corso. Ormai ci sono diplomati del nostro istituto in tutte le scuolette dei monti Nuba, un’area vasta quanto l’ Austria.

I diplomati, che vivono in capanne auto costruite tutto intorno alle aule in mattoni che siamo riusciti a costruire negli ultimi anni, si sono preparati dei cappelli di carta che imitano nella forma quelli con cui si addobbano i laureati nelle universita’ inglese. Ma non sono comici, sono ragazze e ragazzi che per fare questi due anni di studi hanno fatto sacrifici enormi. Li rappresenta tutti una ragazza la cui mamma, incontenibile,  la porta in giro per mano e orgogliosamente la mostra a tutti, toccandosi la pancia e facendo a ciascuno un discorsetto in una delle mille lingue Nuba. Mi traducono: “Questa mia figlia che oggi ha ricevuto il diploma e’ cresciuta nel mio ventre, proprio questo ventre qui. Pensa che il commerciante arabo del nostro villaggio diceva che noi Nuba siamo stupidi come animali! Invece guarda qui questa mia figlia con il diploma in mano!”

L’ ultima sera sono assolutamente esausto. Al mattino la lunga cerimonia per la consegna dei diplomi ai maestri, discorso, poi la programmazione del prossimo anno scolastico, poi, dopo un pranzo veloce di riso e fagioli, via a piedi per Kerker, con Messa, consegna pagelle discorsi, programmi per il prossimo anno scolastico che prevedono lo spostamento della scuola verso la pianura sottostante, a Sarbule. Riusciamo a riavviarci verso la base, vicina al collegio dei maestri, che e’ gia’ tramontato il sole. Arriviamo nel buio piu’ completo, che sono quasi le 20.30,  e vedo che ci sono otto maestri che ci aspettano, perche’ avevo promesso che avrei concluso la loro giornata verso le 19 con una Messa. Le due cuoche stanno ancora preparando la polenta, nella capanna che funge da cucina. Mi siedo e mi pare di non avere piu’ la forza di alzarmi, sono ormai fuori allenamento… Mi sembra quasi una mancanza di rispetto celebrare un’ altra Eucarestia in queste condizioni, e invito i pochi presenti ad organizzare loro una preghiera di ringraziamento, mentre io resto in disparte.

Scelgono il brano della conversione di San Paolo. Si accende una torcia solo per fare la lettura poi si continua alla luce delle stelle. Il lettore e il commentatore parlano un inglese stentato, poi il predicatore decide di passare all’ arabo, e quando il traduttore fa fatica a trovare la parola giusta alcuni dei presenti offrono i loro suggerimenti. Dalla mia posizione vedo il profilo del predicatore sullo sfondo della Via Lattea. Quando commenta il momento della conversione di Saul grida “alleluia” e tutti, anche le cuoche dalla cucina, gridano esultanti “alleluia”.

Ed ecco, improvvisamente, Dio e’ qui. Una presenza solida, che si va viva nelle parole e nella presenza di questa gente buona e dignitosa. Una presenza che riempie tutto. Non c’e’ piu’ uno spazio vuoto, ci compenetra, siamo tutti uniti nel Tutto.

Intanto, poco a poco, sono arrivate una cinquantina di persone. Hanno visto la luce della mia torcia mentre scendevo dalla collina di Kerker, ed hanno fatto un bel pezzo a piedi, al buio, per venire a pregare insieme agli altri. Sono tutti giovani fa i 20 1e i 30 anni e quando mi offrono la pace sento fra le mie le loro mani callose di maestri-contadini.

Domani torniamo a Nairobi. Ancora una volta ho visto che la chiesa non e’ un tempio, la chiesa e’ fatta di gente che cammina e cerca Dio.

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3 Comments

  1. Caro Padre Kizito, Ti abbiamo seguito in questi giorni e aspettavamo proprio di leggerti.
    Riporto subito questo pezzo magnifico di vita vera anche sul blog.
    Per ora un grandissimo abbraccio di ben tornato. Anche noi stiamo andando avanti.
    laura

  2. Carlotta says:

    Uno degli aspetti che più mi mancano dell’Africa che ho conosciuto un anno fa, è proprio quello di “respirare Dio” in ogni cosa. Sentire che per ogni uomo c’è un posto nel mondo e che, per quanto piccolo sia magari questo posto, è pur sempre il Suo posto e ha un’importanza immensa, senza misura.
    Non sono una persona che si può definire “praticante”, nel comune senso di questo termine; ma dentro di me avverto l’appartenenza al mondo, all’universo, a qualcosa che non posso spiegare, che non posso descrivere, né circoscrivere in una definizione. Questo per me è Dio. E la sua esistenza si manifesta imponente, indiscutibile, travolgente in certimomenti della vita di ogni uomo. Forse quelli più semplici.

  3. Katyna says:

    Cercare Dio equivale a cercare la parte più bella di noi stessi.
    Siamo stati creati “secondo la Sua natura”; vuol dire che siamo esattamente come la Sua perfezione ci ha concepiti.
    Grazie per questo post ricco di Vita.

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