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Se Londra compra le lacrime

Oltre mezzo secolo per ammettere di aver massacrato i Mau Mau. E ora la Gran Bretagna si è (auto) riabilitata con pochi spiccioli.

Dopo oltre sessant’anni gli inglesi hanno ammesso le atrocità compiute in Kenya durante la ribellione dei Mau Mau, e lo scorso 6 giugno William Hague, segretario di stato per gli affari esteri, ha dichiarato che Londra ha raggiunto una composizione amichevole con i rappresentanti dei circa cinquemila sopravvissuti ai campi di prigionia, sborsando un totale di circa 23 milioni di euro, che saranno usati anche per costruire un memoriale per le vittime di torture e maltrattamenti durante il periodo coloniale.

È più che altro una vittoria morale, come ha sottolineato il portavoce dei veterani del movimento nazionalista Mau Mau, Gitu wa Kahengeri, notando che nessuno potrà mai ripagare le sofferenze e la morte di migliaia di persone, e che, a conti fatti, ogni sopravvissuto riceverà la non esaltante cifra di circa tremila euro.
Vittoria comunque importante, considerando che ancora nel 2005 il primo ministro Gordon Brown, dopo un breve viaggio in Kenya, affermava che la Gran Bretagna avrebbe dovuto smettere di chiedere scusa per il colonialismo, e, anzi, dovrebbe essere orgogliosa della storia coloniale in Africa, elogiando i «valori britannici», come la libertà, la tolleranza e la virtù civica.

Affermazioni tanto più assurde perché proprio in quei mesi erano stati pubblicati due libri Histories of the Hanged di David Anderson, e Britain’s Gulag di Caroline Elkins, entrambi storici di indubbia fama, che ricostruivano come la Gran Bretagna avesse utilizzato in Kenya feroci metodi di repressione coloniale. Le loro ricerche avevano portato alla luce documenti che l’amministrazione coloniale aveva scientemente cercato di occultare, e dimostrato come per otto anni le truppe coloniali avessero agito al di là della legalità e ogni valore morale, torturando impunemente civili e commettendo omicidi di massa.

In uno dei tantissimi episodi citati e documentati da Anderson un ufficiale inglese racconta, con cinica indifferenza, che mentre sta interrogando tre sospetti “uno di loro, un bastardo, alto e nero come il carbone, continuava a sorridere insolentemente, allora l’ho schiaffeggiato, ma lui continuava a sorridere. L’ho colpito nei testicoli con tutte le mie forze… Quando finalmente riusci a rialzarsi, mi sorrise di nuovo e mi son saltati i nervi. Ho messo la pistola in quella bocca ghignante, e ho tirato il grilletto. Il muro retrostante si copri di pezzi di cervello. Gli altri due indagati guardavano nel vuoto…così ho sparato anche a quei due. Quando e arrivato il commissario gli ho detto che i tre sospetti avevano cercato di fuggire. Non mi credette, ma tutto quello che disse fu: seppelliteli e ripulite il muro.”

Nessun funzionario britannico, militare o civile, è stato mai indagato o processato per quello che è successo nella repressione dei Mau Mau. I documenti venuti alla luce in questi ultimi anni forniscono una documentazione che fa pensare al genocidio. Nel 1952, venne ufficialmente decretato lo stato di emergenza, con conseguente “villaggizzazione”: quasi un milione di indigeni arrestati e costretti a vivere in recinti di filo spinato sotto il controllo armato di agenti di sicurezza.

Il numero di morti causati dalla rivolta e dalla repressione durata dal 1952 al 1963 rimane un mistero. Di certo si sa che i civili inglesi vittime dei Mau Mau non furono più di 40. I civili keniani sono stimati (a seconda di chi fa la stima) tra 25mila e 300mila, quest’ultima cifra è considerata dalla Elkins minimalista, potrebbero essere stati anche 400mila. La Commissione dei diritti umani del Kenya sostiene che circa 90mila furono assassinati e oltre 160mila detenuti in condizioni spaventose. Molti hanno subito castrazione, stupro e violenze della peggior specie. Oggi non c’è nessun dubbio che queste pratiche e i sistematici abusi di diritti umani fossero stati autorizzati ai più alti livelli del governo britannico.

La mossa del governo britannico sembra ispirata dal desiderio di rafforzare i legami politici ed economici con l’ex colonia. Ma ha indotto anche in altri perseguitati politici il desiderio di chiedere compensi per danni subiti. Alcuni Mau Mau non escludono di fare causa al governo del Kenya per averli completamente trascurati dopo l’indipendenza. Inoltre i tribunali stanno ordinando al governo keniano di compensare uomini politici che negli anni del presidente Daniel arap Moi, 1978-2002, sono stati detenuti e torturati.

Dieci giorni dopo l’annuncio di William Hague, due personaggi politici, Gitobu Imanyara e Njehu Gatabaki, e un giornalista, Bedan Mbugua, hanno ricevuto complessivamente circa 300mila euro in compenso delle torture e dei danni subiti. Mbugua, che lavorava per un giornale protestante e sempre sostenne di agire solo in base alle sue convinzioni etiche, fu l’unico giornalista a denunciare le intimidazione e truffe che avvennero durante le elezioni del 1988. Non solo fece tre anni di prigione senza essere accusato di niente, ma la sua carriera e la sua vita furono distrutte da continue interferenze dei servizi segreti. La cifre che i tre hanno ricevuto è ben più alta di quella accettata dai Mau Mau, e si riferisce a violenze pericolosamente molto più vicine nel tempo. Non si può non pensare cosa potrebbe succedere se le vittime delle violenze post-elettorali di cinque anni fa, per le quali sono indiziati alla Corte penale internazionale gli attuali presidente e vice-presidente, decidessero di far causa al governo keniano per non averle protette e compensate per le proprietà terriere perdute e per le vite stroncate dei familiari. Migliaia di loro vivono ancora in situazione di precarietà.

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