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September, 2011:

La Famiglia di Kamau – Kamau’s Family

L’altro giorno uno dei ragazzi di Ndugu Mdogo a Kibera, chiamiamolo Kamau, mi dice “mio papà mi ha chiesto di ringraziarti perché quando era in prigione a Kamithi, tanti anni fa, tu hai portato in regalo molte copie di New People e per per qualche settimana i detenuti hanno potuto distrarsi e imparare molte cose nuove”. Cerco di ricordarmi. Sono sicuro di essere entrato a Kamithi, che è la prigione di massima sicurezza, solo una volta, quando celebrai la Messa il mattino di Natale del 2006 o 2007. Celebrai nel fetido stanzone su cui si aprono le celle dei condannati a morte, le persone accalcate intorno al tavolo che serviva da altare. In Kenya la sentenza capitale non viene eseguita dal 1987, e viene di fatto mutata in carcere a vita. Salutandoli, non potei non domandarmi quanto potesse durare la vita per quei poveretti ammassati in condizioni terribili. Ma mi ricordo che non mi era stato permesso di portare nessuna rivista. Come poteva il papà di Kamau aver ricevuto copie di New People?
Poi mi ricordo che nel 93 o 94, padre Arnold Grol, l’olandese che per primo si è preso cura dei bambini di strada a Nairobi, e che aveva accesso libero a tutte le prigioni del paese, mi aveva chiesto di dargli copie vecchie di New People da distribuire ai carcerati. Forse distribuendo le copie mi ha nominato, o forse il papà di Kamau fa un po di confusione. Ma che un gesto cosi piccolo sia ricordato con gratitudine dopo tanto tempo mi stupisce.
Ci sono altri ragazzi che ascoltano e non chiedo a Kamau come mai suo papà fosse in carcere a Kamiti e come mai adesso sia fuori, ma per non lasciare cadere la cosa e cercare di capire qualcosa di più, gli chiedo quanti anni abbia suo papà. “Trentaquattro”, è la risposta sicura. Quindi a quel tempo suo papà aveva appena compiuto 18 anni, perché non ti mettono a Kamithi se non sei maggiorenne, e so che lo stesso Kamau farà diciotto anni il marzo del prossimo anno, perché ho letto da poco la sua storia preparata da Jack, il nostro “assistente sociale di strada”. Rifletto che andando a questa velocità, io, che ho appena compiuto i sessantotto anni, potrei essere il bisnonno di Kamau, con ottime probabilità di diventare trisnonno in tempi brevi. Continuo a chiedere, sempre cautamente perché so di avventurarmi in terreno minato, e che potrei toccare situazioni dolorose: E la mamma? E quanti sorelle e fratelli hai? “La mamma ha forse 35 anni, ma non è più insieme al papà da tanto tempo ed è stata la sorella della mamma a farmi crescere fino ai dodici anni, quando sono andato in strada perché a casa non c’era abbastanza da mangiare”. Il conto dei fratelli prende parecchio tempo, perché ce ne sono quattro dalla stessa mamma e papà, ma poi entrambi hanno avuto figli da altri partners, e alla fine sembra che il totale sia di undici, ma non è cosi sicuro.
Non c’è da sorprendersi che il Kenya sia passato da circa 22 milioni di abitanti nel 1988, l’anno in cui sono arrivato a Nairobi, ai quasi quaranta odierni, e che continui a crescere al ritmo di un milione di persone all’anno. La sorpresa è che un ragazzo come Kamau, con questa famiglia alle spalle, tre anni di vita in strada, riesca ancora a impegnarsi e dopo essere tornato a stare con la zia e aver ripreso la scuola, venga a Ndugu Mdogo una volta alla settimana per farsi consigliare da Jack, oltre a due semplici ma abbondanti pasti.

Le Due Mense del Congresso Eucaristico Nazionale

L’amico Michele la Rosa ha mandato al direttore di Avvenire questa lettera. Spero che la pubblichino, ma ho qualche dubbio. In ogni caso credo che sia un documento importante per capire cosa pensano i ragazzi di oggi, per lo meno quelli che sono sensibili e attratti dal Vangelo.

Carissimo Direttore di Avvenire,
mi chiamo Michele e sono un volontario ecclesiastico per il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona. Sto aspettando con grande eccitazione l’arrivo del Papa per la S. Messa dell’11 Settembre e mi sono messo al servizio del Congresso cercando di fare del mio meglio. Ho fatto 400 km da Cremona perchè nel cuore da alcuni anni sento una forte necessità di vivere sempre più intensamente il sacramento dell’Eucarestia, e così, prendendo spunto dal Signore che all’ultima cena si mette a pulire i piedi io mi sono messo a pulire i bagni di casa volontari e a disposizione per quello che serve.
Ci sono stati dei momenti veramente di profonda condivisione tra di noi, momenti che nella mia vita mancavano da tempo. E’ una esperienza di profonda vita cristiana credo, con persone che vengono un po’ da tutta Italia, di qualunque età, che lavorano insieme giorno per giorno in modo semplice.
Sto cercando però di capire il senso del sacramento Eucaristico, perchè desidero entrare in Seminario e vorrei diventare prete. Così ho accettato con gioia l’impegno giornaliero del 6 Settembre nel servizio ristorazione per i congressisti della fiera. Purtroppo poi mi sono accorto di qualcosa che non va. O meglio, già tanti altri segnali mi mettevano in guardia…. forse i tanti pass di ogni tipo, almeno una trentina, per gestire l’ingresso o meno in certe aree, come se fossimo ai mondiali di calcio, insomma la tipica gestione da grandi eventi a cui siamo abituati nel mondo occidentale, e che abbiamo portato anche in Sud Africa all’ultima occasione.
Sarà forse anche il mio primo servizio operato alla mostra della Mole ad aggiungere un senso di inquietudine. La mostra è piena degli ori e degli argenti della diocesi e di quadri preziosi che parlano di questo Sacramento, e all’inaugurazione era pieno di persone in giacca e cravatta, con auto di lusso, che si scambiavano sorrisi e strette di mano, come in qualsiasi altro meeting aziendale.
Sarà forse anche la Fiera di Ancona con tutti i mercatini, dove non si cambiano le monete, come nel Vangelo, ma dove si vende di tutto e dove per esempio ho passato alcune intere giornate a preparare le borse per i bambini. Borse provenienti dalla Cina, comprate chissà dove, fatte da chissà chi, in chissà che modo. Scherzando dico: “l’avrà fatta qualche bambino cinese….”.
Mi chiedo come reagirebbe Gesù ad una cosa simile, un Congresso che parla di Eucarestia, e una Fiera dove si vende di tutto, nel suo presunto nome. Ho ricevuto anche una preghiera del gruppo di Riconciliazione, con stampato dietro l’immancabile pubblicità di vari servizi internet e social network, e la loro promessa che sarà tutta una grande Festa.
Sembra che ogni occasione sia buona per pubblicizzare e vendermi qualcosa, come la reclame del gelato Gran Soleil della Ferrero che si spezza e si gusta alla fine di ogni pranzo e spunta ad ogni dove. Sarà forse questo lo stesso tono “trionfante” che si respira pure in ogni celebrazione, dove, anche alla via Crucis si vede da una parte un Cristo nudo sulla croce arrancare sulle salite che conducono alla Cattedrale, e dall’altra le guide della nostra Chiesa in abiti ben diversi.
Poi lo scandalo. Ci sono due Mense: quella della gente comune, dove si spezza il pane insieme, sotto la tenda; e poi quella dei “Vip”, dove Vescovi e Cardinali, in buona e “selezionata” compagnia di autorità politiche e autorevoli relatori, si godono i vantaggi di un servizio a 5 stelle improvvisato nella Fiera. Questa sala è nascosta bene all’interno, inaccessibile agli altri, con i colori neri che mi ricordano un tristissimo film che denuncia questo mix di spiritualità e di collusione con il potere politico ed economico, dove si celebrava la S. Messa nascosti in un bunker.
Così vengo chiamato di turno nel servizio alla porta della sala, per regolare gli ingressi, e mi decido a dire qualcosa. Appena un responsabile della Segreteria CEN, con il pass blu di alto livello, capisce il mio stato d’animo, decide improvvisamente di bloccare il servizio e di non mostrare la sala a nessun altro volontario. Io vado avanti lo stesso. Entrano 3 Vescovi che si siedono e iniziano ad ordinare il pranzo. Irrompo nella sala, contravvenendo agli ordini e mi presento: “Sono Michele, ho fatto 400 km per capire che cos’è l’Eucarestia! e voi mangiate in una sala a parte con piatti in porcellana, posate d’argento e bicchieri di cristallo, ben nascosti da tutti gli altri, i quali si accontentano giustamente di mangiare in semplicissimi piatti di plastica. Per favore, vi prego, andate a spezzare il pane insieme a tutti gli altri nel Congresso”.
Il responsabile della Segreteria interviene, neanche ascolta le mie parole, mi caccia fuori in malo modo, minacciando di dire tutto a Don Enrico, la guida Spirituale dei Volontari. I Vescovi sono attoniti, dispiaciuti, probabilmente si rendono conto di aver dato ancora una volta il cattivo esempio. Uno di loro tra l’altro aveva riso ad una mia battuta il giorno prima all’info point: “vede Sig. Vescovo, qui sotto la tenda Abramo il mio collega volontario, ha lasciato la sua bicicletta…. volevo dirle che Abramo non usa la macchina, prendiamo esempio da lui!” E si, le auto costose e potenti qui si contano a decine…. che muovono le cariche ecclesiastiche allo stesso modo dei divi del moderno sistema mediatico dello show business.
Esco dalla Mensa dei ricchi e incontro Emanuele, l’altro volontario che dorme con me in tenda dai Salesiani e prepara la colazione a tutti. Gli racconto la situazione… è un genio…. propone a tutti i volontari di salire nella sala e di magiare lì con i “vip” della gerarchia ecclesiastica. Scoppiamo a ridere…. chissà, forse ce ne sarebbe davvero bisogno di vivere la fede in questo modo.
Ripenso a tutte le ore di direzione Spirituale qui alla Casa, penso ai capi della Chiesa che non mangiano con gli altri e nella tristezza mi accorgo di essere ancora una volta su una linea d’onda diametralmente diversa. Che senso ha tutto questo Congresso Eucaristico se i nostri Vescovi e Cardinali, non mangiano insieme a noi?
Le chiedo che genere di Sacramento di Comunione Eucaristica rappresenti mai questo modo di appartarsi e conchiudersi come una sorta di esclusiva Elitè?
Le lascio un ultima domanda prima di iniziare il nuovo servizio alle trombe del Corpus Domini di oggi: “Signore da chi andremo” per risolvere questi sconvolgenti dilemmi?

Con affetto,
Michele La Rosa
Cremona

Montagne Nuba, la pace elusiva – Nuba Mountains, the elusive peace.

Oggi avrei dovuto essere sui Monti Nuba. Non son riuscito ad andarci per cause varie, non ultime la stanchezza e l’incertezza della situazione. La guerra purtroppo è ripresa agli inizi dello scorso giugno. Il governo di Khartoum ha tentato di controllare militarmente Kadugli, la capitale, adducendo come scusa la confusione post-elettorale, e ha cercato di arrestare il leader Abdel Aziz Al Hilu, membro del Sudan People’s Liberation Movement-North (SPLM-N), fino a pochi giorni prima vice-governatore e si era presentato alle elezioni per la carica di governatore. I Nuba hanno reagito a questa prevaricazione, e sono seguiti giorni di battaglie e atrocità. Ci sono immagini satellitari che mostrano fosse comuni. Poi le posizioni si sono attestate, con Abdel Aziz che controlla un territorio leggermente più esteso che non quello che controllava nel gennaio del 2002, quando venne firmato il cessate il fuoco. e i governativi che bombardano Kauda, Gidel, Teberi, Kerker, Sarbule, i posti dove Koinonia ed Amani hanno portato avanti progetti educativi sin dalla prima nostra presenza, nel 1995, fino all’ottobre del 2009, quando abbiamo consegnato le tre scuole alle autorità locali. Ho fatto una settimana in quell’area in marzo di quest’anno ed avevo notato con piacere che nonostante non avessimo più garantito fondi le scuole ancora funzionavano e sopratutto che ovunque andassimo c’erano maestri e direttori di scuole provenienti dal ciclo di formazione che avevamo avviato.
Se fossi andato adesso a Kauda, bombardamenti a parte, avrei potuto trovarmi a dover camminare per qualche decina di chilometri al giorno, dato che auto e ancor più carburante scarseggiano. Dieci anni fa la facevo. Adesso non son più in allenamento ed ho dieci anni di più…
Ora i Nuba riappaiono a Nairobi. Ieri è venuto a trovarmi un uomo che avevamo impiegato come logistico alla fine degli anni novanta. Dopo la pace era andato a Khartoum ed aveva un posto abbastanza importante in un ministero. Il mese scorso si è fatto precedere da moglie e figli al Cairo, poi lui ha chiesto il permesso di andarci per ragioni di salute, e tutti poi hanno preso l’aereo per Nairobi. Adesso sta organizzandosi per andare a Juba, dove spera di trovar lavoro. Anche i pochi studenti Nuba che sono a Nairobi stanno aspettando l’evolversi della situazione per decidere se rientrare a casa – clandestinamente, perché non c’è altra scelta – o andare a Juba, dove potrebbero almeno ottenere il passaporto Sud Sudanese, senza rischiare di restare apolidi per il resto della loro vita.
Quali le cause di questa nuova fase? Sono le stesse dalle guerra civile fra Sud e Nord, durata dal 1983 al 2005. Profonde ingiustizie e discriminazioni sociali, politiche, culturali, con anche una dimensione religiosa, che il trattato di pace non ha risolto, ha solo cercato di ignorare.
Tanti speravano, ma era un speranza ingenua, che dopo la divisone avvenuta lo scorso luglio – Sudan con capitale Khartoum e Sud Sudan con capitale Juba – si sarebbe avviata una fase di normalizzazione e ricostruzione. A soli due mesi dall’indipendenza il Sud Sudan è lacerato da lotte intestine gravissime. Sono i colpi di coda di una eredità di sopraffazione, violenza e tribalismo che sta per scompare, o è solo l’inizio di una nuova frammentazione? Nessuno lo può dire, molto certamente dipende dalle capacità dei leaders. In Sudan sono rimasti attivi i grandi focolai di violenza del Darfur e di Abyei, in giugno si sono aggiunti i Monti Nuba (che molti chiamano col nome ufficiale di South Kordofan) e l’altro ieri il governo di Khartoum ne ha avviato un’altro, attaccando la casa del governatore eletto Malik Aggar (altra mia vecchia conoscenza) e scatenando una reazione che poterà inevitabilmente ad altre violenze.
Potrà Omer Hassan al-Bashir, al potere a Khartoum dal 1989, mantenere il controllo di un paese che dopo aver perso il Sud adesso si sta dividendo su basi regionali? Fra i possibili scenari ci sono la discesa sia del Sudan che del Sud Sudan in una spirale di violenza e di illegalità che li farà diventare un’altra Somalia, o la speranza che in Sudan le opposizioni comincino a lavorare unite e diano la spallata finale al governo di Bashir, portando al potere un governo democratico, che a sua volta potrebbe favorevolmente influire sulla stabilizzazione anche del Sud Sudan. Insomma un’altra fase della primavera araba, con tutte le incertezze ma anche con tutte le speranze che la caratterizzano.
Intanto la comunità Nuba a Nairobi torna ad espandersi. Mentre scrivevo questa nota mi ha chiamato una delle vedove di Yusuf Kuwa, il leader Nuba morto 10 anni fa. Anche lei si è rifugiata a Nairobi, in cerca di quella pace che per i Nuba sembra un sogno impossibile.
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