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June, 2008:

Scontro o Solidarietà?

Scontro o solidarieta’?

La porta di Lampedusa si apre su un mare dove si stima che negli ultimi dieci anni siano perite diecimila persone tentando una difficile attraversata. E’, in un certo senso, un’opera incompiuta. Puo’ restare come un segno di pieta’ e un luogo di raccoglimento, o diventare un freddo monumento funebre come tanti, o allargarsi e diventare il simbolo di un’ Europa che si apre verso l’Africa, verso l’accoglienza e una solidarita’ nuova.
Stara’ a noi, negli anni a venire, costruire il suo significato.
Guardando questa porta, adesso, capiamo che la globalizzazione non e’ un’astrazione, non sono solo merci a basso prezzo che invadono il nostro mercato, non sara’, anche se noi lo vorremmo, una nostra nuova modalita’ per dominare il mondo. Sono persone che finalmente accedono alla consapevolezza di essere parte di un unico mondo, e vogliono essere responsabili della loro vita, una vita che sognano possa diventare piu’ umana, e per far questo sono disposti a venire in Europa a fare i lavori piu’ umili, a accudire ai nostri ammalati, a cucinare il nostro cibo, e a pulire le nostre citta’.
E capiamo che abbiamo bisogno di una rivoluzione nel modo a cui guardiamo alle cose. Il nostro mondo europeo e’ ormai un mondo piccolo, in tutti i sensi, e c’e’ al di la’ di questa porta un mondo piu’ grande che ci chiede di partecipare e di condividere. Gli altri non sono piu’ i “moretti” per i quali le nostre nonne o bisnonne davano una lira perche’ fossero battezzati con il nome di un loro caro, ma sono persone come noi, che vogliono che la loro dignita’ e i loro dirittti siano rispettati. Non possiamo piu’ pensare al nostro piccolo mondo come al centro dell’ universo, ma vediamo che c’e’ al di la dei nostri confini, che perdono sempre piu’ di significato, un nuovo grande mondo ribollente di vita. Chiudere questa porta vorrebbe dire chiudersi alla storia e al futuro.
L’ Europa ha incomiciato a capire che il diritto internazionale che ha costruito negli ultimi secoli, che nega la possibilita’ di interferire con gli affari interni di un paese diverso, anche se in questo paese e’ in atto una persecuzione o un genocidio, andava forse bene prima della globalizzazione. Adesso e’ superato.
Ma e’ gia’ anche superato il diritto di intervento umanitario, che l’ Europa sta elaborando sempre pensandosi come soggetto di questo diritto. Ora, di fronte ai drammi crescenti della fame e del disastro ecologico, viene presa dal panico e risponde alla crescente richiesta di solidarieta’ con promesse che non mantiene mai, come vediamo regolarmente durante gli incontri del G8, ritornando ai meschini interessi nazionali, e alzando barriere sempre piu’ alte.
Cosi, per un momento – e speriamo che sia un momento breve – l’ Europa , crede a chi percepisce e rappresenta lo straniero come una minaccia, come colui che vuole derubarci della “nostra roba” e della “nostra identita”, invece che come “colui senza il quale vivere non e’ piu’ vivere”.
Accentando l’altro non gli facciamo un favore, Aiutiamo noi stessi, evitiamo di diventare maschere, evitiamo di immedesimarci sempre piu’ in una identita’ immaginata che dovrebbe proteggerci dalle nostre insicurezze interiori, ma che e’ di fatto un’ identita’ statica e sterile che ci impedisce di crescere come persone umane e come societa’ E’ una tentazione che coinvolge tutti, anche una Chiesa che talvolta sembra preferire il porto sicuro delle antiche abitudini piuttosto che l’ avventura del mare aperto.
Ma i poveri si rifiutano di vivere in una miseria indegna della persona umana, vittime di una sfruittamento interno ed esterno, di guerre che che non capiscono e non vogliono, e vengono a cercare da noi il sogno dell’ “european way of life” che abbiamo alimentato con la nostra propaganda, stupidamente sicuri che il nostro modello di sviluppo fosse l’unico possibile. Cosi continuano a stimolarci per allargare i nosti orizzonti.
C’e’ chi in Europa crede di poter fermare con le leggi questa ondata di vita che viene ad abbracciarci. Fortunatamente per tutti noi, sono degli illusi. La legge non cambia la storia, anzi, quasi sempre la legge e’ costretta a seguirla, soprattutto quando si tratta di eventi epocali come le migrazioni oggi in atto.
Cosi chi in Europa tiene gli occhi aperti incomincia a capire che la solidarieta’ o diventa globale o non ha piu’ senso. Gli egoismi di classe e di nazione sono il linguaggio del passato. Quando ero bambino la scuola e un certo mondo di adulti cercavano di trasmetterci in tante forme la convinzione che gli austriaci erano il nemico storico per eccelleza. Oggi questo fa ridere, o fa pena. E’ bastata una generazione per far dimenticare pregiudizi che potevano sembrare eterni. Oggi i nostri ragazzi si sentono sempre di piu’ cittadini di un unico mondo e capiscono istintivamente – a meno che siano succubi di martellanti propagande – che la convivenza civile puo’ essere solo fondata su una solidarieta’ globale, altrimenti e’ solo un egoismo mascherato. Bush e i suoi amici saranno consegnati alla storia come sopravvisuti di un’era in cui nessuno piu’ si riconoscera’.
Sono fiero della mia cultura e della mia tradizione. Ma e’ proprio centrale alla grande cultura in cui sono nato il riconoscere in ogni persona prima di tutto la comune umanita’, fonte di dignita’ e diritti, e solo successivamente vedere le differenze. E accettarle come differenze che ci complementano, anzi, che mi creano e che mi danno vita, perche’ senza queste differenze non potrei essere me stesso.
Se facciamo nostra questa rivoluzione mentale, riguardando questa porta non la vediamo piu’ come un monumento ai morti, ma come un grande segno di speranza e di apertura per i vivi. Ci accorgiamo che non facciamo semplicemente memoria di quei poveri corpi in fondo al mare, li riconosciamo come persone che venivano a noi desiderosi di condividere la nostra comune umanita’. Essi, che hanno gia’ attraversato un’ altra porta, quella che si apre sull’ incontro con l’ Infinito, con con colui che e’ davvero e definitivamente l’ Altro, avevano capito cio’ che noi fatichiamo ad intravedere. Hanno aperto questa porta per noi.
Oggi, mentre voi contemplate questa porta sull’ Africa, io sono sui Monti Nuba, al centro del Sudan. Anche da qui e’ partita gente che senza aver mai visto una pozza d’acqua piu’ profonda di un metro, ha tentato di attraversare il grande mare, inseguendo il sogno di un lavoro, di poter mandare un aiuto ai genitori anziani o ai fratelli minori. Oggi alcuni dei loro corpi sono in fondo al mare che state guardando.
Io sto distribuendo il diploma di maestro elementare a circa cento giovani che hanno seguito un corso di due anni fatto qui e gestito da persone locali. Corso voluto dalle stesse organizzazioni che hanno promosso l’apertura della porta realizzata da Mimmo Paladino. Questa mi sembra possa essere la strada, quella esprimere la solidarieta’ andando ad incontrare gli altri la dove sono, per crescere insieme, nel rispetto di tutti. Questi giovani, ai quali e’ stata data l’ opportunita’ di una vita dignitosa tra la loro gente, non andranno ad ingrossare le file di che cerca di attraversare il mare. Questa strada la percorriamo non solo perche’ questo fa bene ai “poveri”, ma perche’ fa bene a noi. Qui dobbiamo venire, scalzi, in segno di rispetto per la terra sacra degli altri, per tornare ad imparare ad essere uomini tra gli uomini. La porta di Lampedusa e’ per un traffico a due direzioni.
La porta di Lapedusa diventa allora un invito a guardare lontano, e a guardare con speranza. Cominciamo a capire che non siamo alla fine della nostra civilta’. Siamo agli inizi di una nuova era, in cui vivere in solidarieta’ globale e’ la nuova dimensione.

La Porta di Lampedusa

Migranti

Sabato prossimo, 28 giugno, sara’ inaugurato a Lampedusa un monumento alla memoria dei migranti caduti in mare nel tentativo di raggiungere le sponde dell’ Europa. Alcuni miei amici e due realta’ che ho contribuito a far nascere, Amani e Koinonia, hanno promosso questa iniziativa a cui vi chiedo caldamente di aderire. 

Amani, Arnoldo Mosca Mondadori, Alternativa Giovani e Koinonia Community lanciano una proposta alla società civile italiana e alle istituzioni europee: un monumento alla memoria dei migranti caduti in mare, che sara’ inaugurato il prossimo 28 giugno.

Il monumento che intendiamo realizzare, grazie alla disponibilità di Mimmo Paladino, è in memoria di quanti, uomini donne e bambini, hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il mare mediterraneo per giungere sino a noi in cerca di un futuro migliore.

E’ quindi un monumento alla memoria, in ricordo di coloro che non sono mai approdati. Una porta da attraversare in silenzio udendo solo il rumore del mare come se, per un istante, solo per un attimo potessimo ricongiungerci con coloro che non sono arrivati, per bussare alla loro porta come loro volevano bussare alla nostra e poi stare lì ed aspettare perché questo tempo non torni più.

Il testo che segue è il nostro APPELLO che vorremmo continuasse ad accompagnarci in futuro.

Ogni giorno decine di migranti cercano di raggiungere il nostro Paese e, attraverso di esso, l’Europa. Ogni anno centinaia di loro muoiono nel corso di questo tentativo. Negli anni, essi sono diventati migliaia e migliaia: 10.376 dal 1988 al settembre 2007 lungo le frontiere europee, secondo l’Osservatorio sulle vittime dell’immigrazione di Fortress Europe. È una strage senza testimoni, senza denunce e molto spesso senza sepoltura, perché la maggior parte delle vittime perisce in mare e i corpi non vengono recuperati. Persino nel caso del maggior naufragio di migranti, quello avvenuto la notte di Natale del 1996 al largo delle acque di Porto Palo in Sicilia, nel quale morirono 283 persone, sebbene il relitto sia stato localizzato, nessuno ha voluto assumersi l’onere delle operazioni di recupero. E’ dunque anche una strage senza pietà.

 

I migranti vengono dal Sud e dall’Est del mondo verso l’Italia. Vengono ad accudire i nostri anziani, a sorvegliare i nostri figli, a pulire le nostre case, a servire alle nostre mense, a lavare i nostri piatti, a raccogliere le nostre immondizie, a mandare avanti le nostre imprese artigianali, le colture e le stalle, gli impianti industriali e i servizi. Portano lavoro, umiltà, energia, un enorme desiderio di riscatto: vengono da noi per migliorarsi. Portano anche giovinezza e forza vitale alla nostra società senescente, disponibilità alle mansioni che da noi si rifiutano, speranza d’avvenire che a noi si comunica: vengono da noi per salvarci.

 

La strage di migranti ai nostri confini è il prezzo pagato alla nostra impreparazione, incomprensione, indifferenza di fronte a un fenomeno umano di proporzioni epocali. Per questo pensiamo che un calendario e un monumento ai migranti caduti possano essere non un risarcimento, ma un riconoscimento dovuto alle sofferenze patite anche per noi.

 

Per aderire invia una mail a: monumentolampedusa@email.it inserendo il tuo Nome, Cognome e Città, scrivendo nell’oggetto ADERISCO ALL’APPELLO.

 

All’APPELLO hanno già aderito rappresentanti della cultura, dell’arte, delle istituzioni e dell’impresa, tra cui:

Ennio Morricone, Antonio Tabucchi, Arnaldo Pomodoro, Alessandro Passadore, Andrea Aiello, Eva Cantarella, Guido Martinotti, Giulio Giorello, Lella Costa, Khaled Fouad Allam, Lucio Dalla, Don Gino Rigoldi, Don Virginio Colmegna, Ottavia Piccolo, Ada Gigli Marchetti, Roberto Vecchioni, Luca Pignatelli, Maurizio Cucchi, Laura Boldrini, Salvatore Veca, Margherita Hack, Alda Merini, Pietro Veronese, Bruno Arpaia, Nicoletta Mondadori, Alfredo Rapetti, Fabrizio Ferri, Bianca Beccalli, Anna Cataldi, Mimmo Paladino.

Info:

www.amaniforafrica.org – tel. 02.48951149

www.arnoldomoscamondadori.itwww.alternativagiovani.it

L’Aritmetica delle Scimmie

Mi e’ capitato di leggere questa notizia, proveniente dagli USA:

Ecco un nuovo elemento da aggiungere alla lista delle cose che ci legano al mondo animale, in particolare a quello delle scimmie. Anche loro infatti saprebbero contare, o comunque distinguere tra diverse quantità numeriche. Lo dimostra un esperimento condotto dai ricercatori della Duke University di Durham (North Carolina), secondo il quale i nostri parenti animali più prossimi avrebbero una sorprendente agilità mentale nel riconoscere numeri e fare piccole somme. Lo studio è stato condotto in curioso parallelo tra primati e studenti volontari e i risultati ottenuti sono stati sorprendenti.

Nell’esperimento alle scimmie è stato chiesto di fare rapide addizioni mentali: il 76 per cento degli animali ha risposto positivamente, contro il 94 per cento degli studenti, cui era stato chiesto di fare la stessa cosa. Una differenza di percentuale irrisoria, che secondo gli scienziati americani suggerisce una comune propensione al calcolo.

“E’ noto che gli animali sanno riconoscere le quantità, ma la vera sorpresa sta nella loro capacità di realizzare calcoli matematici come l’addizione”, ha spiegato Jessica Cantlon, ricercatrice al Centro di Neuroscienza cognitiva della Duke University. “La nostra ricerca dimostra proprio questo”.
Lo studio, pubblicato nella rivista
Public Library of Scienze Biology, arriva poco tempo dopo quello di un gruppo di ricercatori giapponesi, che ha dimostrato come i giovani scimpanzé abbiano una memoria di breve termine migliore di quella dei loro colleghi studenti.

Beh, posso garantirvi che i ricercatori della Duke University arrivano in ritardo. Che le scimmie sapessero contare i contadini Achewa dell’’ Est della Zambia lo sanno da tempo immemorabile. Alla fine degli anni settanta ero a Chadiza, nell’angolino di Zambia che si incunea fra Mozambico e Malawi, una delle regioni africane piu’ densamente popolate, per il clima mite e la terra fertile. Durante il mese di giugno andavo di villaggio in villaggio celebrando con la gente la Za Masika, la festa del ringraziamento alla fine della stagione del raccolto. A dimostrazione delle abilita’ aritmetiche scimmiesche, ma con un debole per le sottrazioni, gli Achewa mi raccontavano che quando le pannocchie di mais cominciano a riempirsi di chicchi teneri e dolci, bisogna proteggere i campi dalle scimmie e dai cinghiali, che ne sono ghiottissimi e che in una notte possono distruggere i campi di mais di una intera famiglia. Allora si fanno turni di guarda continui, 24 ore su 24, talvolta erigendo in mezzo al campo delle capannucce provvisorie, dove si posizionano dei ragazzi armati di grossi bastoni. I bastoni servano non solo a far rumore (il rumore basta solo a far fuggire i cinghiali), ma per proteggersi dalla scimmie che quando sono in tante possono diventare molto pericolose, e anche uccidere una persona, letteralmente sgozzandola. Ebbene, le scimmie si mettono sugli alberi al bordo del campo e stanno ad osservare. Se si accorgono che un campo non e’ protetto lo devastano, ma se vedono dei guardiani restano ai margini. Se vedono entrare tre persone e piu’ tardi osservano che ne escono una o due, le scimmie non si muovono perche’ sanno che qualcuno e’ rimasto di guardia. Vanno a banchettare solo se ne vedono uscire tre. Ma se si posizionano un numero piu’ alto di guardiani, dai quattro in su, e successivamente ne escono tre, anche alla spicciolata, appena il terzo se ne va le scimmie si scatenano sul campo di mais, per poi fuggire atterrite quando si accorgono che nascosti nel mais ormai molto alto sono rimasti dei guardiani. Hanno perso il conto…

Amnistia e Perdono

n Kenya e’ tornata la pace. O almeno cosi sembra. A Nairobi, anche negli slums che ne erano stati piu’ fortemente colpiti, i segni della violenza stanno rapidamente scomparendo. Strutture provvisorie sostituiscono e nascondono le strutture precedenti che spesso erano solo poco più che provvisorie. La centrale telefonica di Jamuhuri che era state bruciata in uno dei peggiori incidenti dello scorso gennaio, a due passi dalla casa provincializia dei comboniani, e’ stata frettolosamente riverniciata per nascondere i segni delle fiamme e del fumo, anche se ancora non ha ripreso a funzionare.

Ma, per quanti sforzi faccia, il presente governo di grande coalizione – con ben 42 ministri ed una pletora di sottosegretari, fra di loro molti personaggi che lo scorso gennaio apparivano essere nemici acerrimi e che hanno irresponsabilmente alimentato la violenza per i loro scopi politici – non riesce a far dimenticare che ci sono stati oltre millecinquecento morti e un numero ancor piu’ difficile da definire,ma comunque vicino al mezzo milione, di rifugiati. La vernice copre solo le apparenze, non la sostanza.

Due sono le azioni che il governo sta cercando effettuare nel tentativo di far dimenticare il recente passato: un’ amnistia generale per coloro che sono stati responsabili delle violenze post-elettorale, e il ritorno immediato degli sfollati nelle loro case. Le modalita’ usate sono pero’ cosi rozze e improvvisate che rischiano di esacerbare gli animi e provocare un rigurgito di violenza, piuttosto che riavvicinare i tempi della riconciliazione.

L’ amnistia e’ propugnata principalmente da coloro che erano parte dell’opposizione. Ogni pochi giorni alcuni di loro la ripropongono come un atto di clemenza quasi dovuto a chi “ha salvato la democrazia keniana”. Regolarmente altri membri del governo si oppongono ricordando che questi salvatori della democrazia hanno comunque commesso gravi atti criminali, come incendiare, saccheggiare ed uccidere. Per qualche giorno non se ne parla piu’, ma poi i difensori della necessita’ dell’ amnistia tornano alla carica. Il perche’ di questa insistenza e’ abbastanza evidente: tutti sanno che ci sono prove schiaccianti che la’ dove la violenza e’ stata premeditata e organizzata, i responsabili sono alcuni “uomini politici” (fa abbastanza impressione chiamarli cosi’) che sono attualmente al governo, e che sperano che una amnistia generale scoraggi ogni ulteriore indagine.

Uno sfollato che, come tanti, invece di andare in uno degli appositi campi organizzati dal governo ha trovato un tetto preso suo fratello in una baracca vicina a Kivuli, mi diceva qualche giorno fa: “Il ministro *** chiede a gran voce l’ amnistia. Lo capisco benissimo, forse farei lo stesso se fossi al suo posto, visto che e’ l’auto di sua moglie che ha portato le tanche di benzina che son servite a bruciare la mia casa, e non solo la mia. E nella mia casa c’era ancora dentro mio figlio di due anni, John. Potra’ lui restituirmelo?”

Effettivamente, l’amnistia sarebbe in Kenya solo un’ altra parola per affermare l’ impunita’ di cui gli uomini politici hanno goduto dall’ indipendenza ad oggi. Sono qui da oltre vent’anni  e non ricordo di un uomo politico che abbia pagato per le sue malefatte. L’ impunita’ dei potenti e’ parte del sistema ereditato dal colonialismo inglese. Ma oggi non ci si puo’ piu’ nascondere dietro le colpe degli altri, Bisogna che giustizia sia fatta e che tutti vedano che giustizia e’ stata fatta, se si vuole veramente interrompere il ciclo dell’ impunita’. Una povera e semplice giustizia umana, ma pur sempre una dimostrazione di serieta’ e di rispetto per coloro i cui diritti sono stati gravemente violati.

Continua il mio interlocutore: “Io sono cristiano, ed ho pensato molte volte che dopotutto dovrei perdonare. Ma l’ amnistia mi rende impossibile il perdono, perche’ cosi non sapro’ mai chi e’ il colpevole. Anche il confessionale il prete da’ il perdono di Dio solo a chi ammette la propria colpa.”

Ha ragione. Il perdono cristiano e’ un dono e una grazia. Grazia per chi lo offre, e dono per chi lo riceve. Ma la giustizia umana dovrebbe fare il suo corso. La riconciliazione vera e’ possibile solo dopo un’ ammissione di colpa.

Il ritorno degli sfollati alle loro case e’ pure ostacolato dal risentimento, paura e odio che sono nati durante i drammatici episodi di gennaio, nonostante il governo assicuri che questo rientro sta procedendo bene. L’ operazione “Rudi Nyumbani” (ritorno a casa) e’ stata lanciata gia’ nel mese di maggio, con il supporto dei mass media, ma con poca o nulla preparazione. Persone a cui e’ stata bruciata la casa dai vicini, e che hanno visto uccidere i propri cari, si sono sentite dire “tutto e’ finito , preparatevi che domattina vi riportiamo a  casa” e il mattino successivo sono stati caricati su un camion e portati fino a casa. O meglio fino a dove abitavano lo scorso dicembre, perche’ hanno trovato una casa o capanna bruciata, campi devastati, pozzi inquinati. E sono stati lasciati li solo con un piccolo aiuto, qualche coperta, pochi chili di farina di polenta e di fagioli. Le agenzia umanitarie molta piu’ difficolta’ a raggiungere coloro che sono ritornati, era piu’ semplice aiutare gli sfollati quando erano ammassati nei campi.

Dice il mio vicino che alcuni sui parenti sono tornati nell’ area in cui anche lui viveva, ma poi, dopo una settimana, sono ritornati nei campi sfollati. A “casa” era difficile vivere, mancava tutto e i vicini erano ostili. Che senso ha ritornare in queste condizioni? Potrebbe essere solo la preparazione di nuove violenze.

Come ha detto Peter Kairo, arcivescovo di Nyeri, che lo scorso gennaio era vescovo di Nakuru, una delle area piu’ devastate dagli scontri “la rivalita’ etnica che ha fatto esplodere la violenza e’ ancora molto alta e la sola presenza della polizia non bastera’ a restaurare la pace.”

Mons. Cornelius Korir, vescovo di Eldoret, e’ fra coloro che piu’ si sono prodigati per alleviare le sofferenze di tutti, senza distinzione. Migliaia di sfollati sono vissuti per settimane accampati dentro e fuori la sua cattedrale.  Adesso e’ fra i promotori di una seria campagna di pace e riconciliazione, ed ha recentemente osservato che “d’ ora in poi, gli anziani delle diverse comunita’ dovrebbero essere capaci di identificare i segnali di conflitti latenti, e dovrebbero intervenire subito per risolverli, invece di intervenire solo per rimediare agli effetti negativi.”

Apparentemente parlava agli anziani di alcuni villaggi. Ma il suo consiglio dovrebbe essere seguito sopratutto dai leaders dei partiti politici rivali, o scorso anno hanno fatto esattamente l’ opposto, cioe’ alimentato il conflitto per trarne il maggior vantaggio possibile.

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