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July, 2020:

Il Dio delle piccole cose

Oggi i musulmani celebrano l’Id al-Adha, la festa del sacrificio, in memoria di Abramo che sacrificò un montone invece del figlio Isacco dopo essere stato fermato dall’angelo. Una storia molto difficile da capire per noi, ma letta dalla tradizione cristiana prima e musulmana poi come esemplare per l’abbandono alla volontà di Dio.

A Nairobi, dove i musulmani sono una minoranza numerica, la celebrazione non ha un grande impatto, ma sulla costa è molto sentita. Ken Nyangweso nostro operatore sociale nel progetto che Koinonia sta avviando a Kilifi e calciatore professionista (ma in Kenya è più rimunerativo lavorare con Koinonia che fare il calciatore…) mi ha mandato un foto accompagnata da parole commosse perchè stamattina alcuni dei i ragazzini musulmani delle squadra di calcio che ha creato si sono presentati alla porta delle nostra casa con un piccolo dono. Ken li ha accolti con il suo immancabile rosario al collo..

Il nostro è il Dio del lievito, del sale e del seme di senape. Di piccole cose che fanno lievitare, che crescono, che danno sapore. Beato chi sa vederle. Beato chi sa leggere l’azione di Dio e capire le lezioni che ci vengono dai piccoli. Loro vedono il futuro. Se questo non è il Regno di Dio annunciato come presente dal falegname di Nazareth, dove altro lo possiamo trovare?

26 luglio. Coronavirus in Kenya (30)

Nell’ultima settimana c’è stata un’impennata dei casi accertati di Covid-19, che hanno raggiunto i 16,643, e anche dei morti, arrivati ad un totale di 278. Ci sono anche 7,574 guariti. Dall’inizio della pandemia sono anche aumentati i posti letto attrezzati con ventilatori, comunque largamente insufficienti se la situazione dovesse evolversi secondo le previsioni più negative.

La risposta è una crescita in solidarietà. Ieri l’Hindu Council of Kenya, che raggruppa tutte le associazioni della comunità di origine indiana e di religione Indù (molti indiani sono musulmani, e c’è anche un piccolo numero di cattolici) ha organizzato una distribusione di cibo e anche Koinonia è stata invitata: Nella foto Jack Matika, debitamente mascherato, che ringrazia a nome di Koinonia.

Queste sono occasioni di concreto ecumenismo di base che sono più eloquenti delle grandi dichiarazioni. Le grandi dichiarazioni servono e indicano una direzione, tant’è che chi presiedeva la semplice cerimonia ha riecheggiato le parole di Papa Francesco e al termine, salutandoci, mi ha detto di voler continuare ad aiutare Koinonia e di visiate le nostre case. Le dichiarazioni devono essere vissute nella vita reale, altrimenti restano solo parole.

Koinonia in questi mesi ha accettato donazioni da cristiani di ogni confessione, da musulmani, da indù, da credenti nella religione tradizionale africana, e, immagino, anche da agnostici e atei. Non sono sicuro perché al primo incontro non domandiamo la fede di appartenenza ne a chi ha necessità ne a chi si presenta per donare magari un semplice pacchetto di farina per polenta. Noi sappiamo che i nostri giovani ospiti sono di tante fedi diverse, ma la fame è uguale per tutti. Cosi come il dolore fisico e morale, la sofferenza per l’abbandono e l’emarginazione sono uguali per tutti. Il cibo condiviso non ha religione, è il più semplice e forte segno di fraternità.

Ieri, guadandomi in giro nel grande prato fuori dalla sede dell’Hindu Council, constatavo di essere non solo il più vecchio, ma anche il solo non-indiano e non-keniano. Certamente l’unico prete. Eppure a me pare la presenza in momenti come questi sia un modo per essere missionari.

16 luglio. Coronavirus in Kenya (29)

Oliver ha vinto. Ha vinto le allucinazioni che la sera non gli lasciavano prender sonno, ha vinto i fantasmi della strada che tornavano a visitarlo in piena notte, ha vinto i ricordi dell’infanzia che volevano impedirgli di perdonare. Ha vinto perché ha ammesso di aver perso e adesso vuole ricominciare da capo. Forte, determinato. Coi piedi piantati bene a terra. E che piedi! Numero di scarpe non in commercio.

Oliver, 23 anni mi ha dato il permesso di pubblicare la sua foto e un po della sua storia. Era nel gruppo di giovani adulti sgomberati dal centro città su ordine del Presidente, perché considerati un pericolo per l’igiene e la sicurezza e arrivati a Koinonia a fine marzo. Come gli altri, appena arrivato si era buttato sul prato, per stanchezza, ma anche perché, come mi ha confidato, avrebbe voluto sparire negli stracci che aveva addosso, Un mucchio di stracci insieme ad altri stracci. Ma già il giorno dopo aveva capito che a Koinonia c’era una forza che non gli era mai capitato di incontrare. Più forte della sua forza fisica. Ha discusso, ha battagliato con gli altri e ancor di più con se stesso. All’inizio di settimana scorsa, risoluto, mi aveva detto di voler tornare in strada. Ho rispettato la sua decisione spiegandogli che è la sua vita, la deve vivere lui, ma che se avesse deciso di fidarsi ancora di noi ci avrebbe trovati sempre dalla sua parte, Harrison, Besh, io e tutta Koinonia. E’ andato. Poi sabato mi ha chiamato “Padre, volevo mettermi alla prova. Adesso ho deciso di tornare al villaggio” Il villaggio di Olive è vicino al lago Vittoria, il più grande specchio di acqua dolce in Africa e il secondo al mondo. Gli sono rimasti solo una nonna e un cugino, più un pezzo di terra da coltivare. Cosi lunedì mattina è partito, accompagnato da Besh. .

Oliver è il primo del suo gruppo che ha fatto la conversione dalla strada alla famiglia di origine e alla terra. A Dio. Con lui hanno camminato i suoi amici di strada e i ragazzi di Koinonia. Cambiare è in cammino che si fa insieme. Ci sono momenti personali, esclusivi, dove si fa corpo a corpo con Dio, come Giacobbe, tuttavia la più parte del camminare la si fa insieme agli altri. Ci sono momenti di illuminazione, in cui la coscienza coglie una verità, ancora vaga, impalpabile.. Ma poi quella verità deve essere messa alla prova del confronto con gli altri.

Lo sperimentiamo nei momenti serali del dopo cena quanto con tanta allegria, intorno al tavolo, si ricordano episodi della giornata e si parla di giustizia e di solidarietà. Dell’importanza che giustizia, solidarietà e perdono siano sempre insieme. Ieri sera mentre Harrison condivideva una sua esperienza di come sia importante avere un atteggiamento di rispetto per tutti, anche i più piccoli, e ho visto un paio di occhi illuminarsi, mi son ricordato di fratel Valentino Fabris. Era un fratello laico comboniano vecchio stile che non aveva studiato niente ma che negli oltre sessant’anni passati in Africa, fra la gente dei villaggi, aveva distillato una sapienza del cuore che incantava chiunque lo ascoltasse. Rientrato a Verona dalla missione ultranovantenne, nel 2013, immancabilmente concludeva i vivacissimi e colorati racconti delle sue avventure missionarie con “Vedi padre – Valentino parlava sempre ad una persona, anche se erano tanti ad ascoltarlo – se io sono qui – e indicava con la mano una certa altezza – e tu sei qui – e indicava più in basso – è inutile che io cerchi di insegnarti il Vangelo. Non mi crederai mai. Dobbiamo essere così – e metteva le mani allo stesso livello – allora sì che insieme capiremo il Vangelo”.

Così lunedì mattina mentre io partivo in auto verso Kilifi, dove Dimba e Ken stanno avviando un progetto in una piccola comunità di pescatori – esperienza nuovissima per Koinonia che avrò modo di raccontare in altri momenti – Oliver e Besh sono partiti per Kisumu. In una foto li vedete insieme: Oliver, l’ex “bambino di strada” che torna a casa, è quello alto, mentre Besh è quello piccolo. Besh è con noi dal 2005 e adesso è un assistente sociale diplomato che sa mettersi al livello degli altri. Anche se in questo caso fisicamente non lo potrebbe fare neanche alzandosi sulla punta dei piedi.

10 luglio. Coronavirus in Kenya (28)

“Il gioco rischioso di Uhuru” (Uhuru’s risky gamble) titolava il giornale più importante del Kenya lo scorso martedì, riportando la decisione annunciata dal presidente Uhuru Kenyatta in conferenza stampa la sera precedente di riaprire confini interni ed esterni, pur mantenendo il coprifuoco dalle 21 alle 4. Dallo stesso giorno ci si può muovere liberamente su tutto il territorio del Kenya, dal 15 luglio riprenderanno i voli interni, e dal primo agosto i voli internazionali. Doccia fredda il pomeriggio del martedì, quando il ministro dell’educazione ha annunciato che se la situazione non peggiora le università e gli istituti di istruzione superiore (come il nostro Diakonia Institute) possono riaprire a settembre, ma le scuole primarie e secondarie (come la nostra Domus Mariae) rimarranno chiuse certamente fino a fine dicembre. Potranno riaprire a gennaio, che è la solita data di apertura dell’anno scolastico. Gli studenti dovranno re-iscriversi nella stessa classe in cui erano a gennaio 2019. Un anno completamente perso per tutti gli studenti del Kenya. Col rischio che molti studenti di famiglie povere in questi lunghisismi mesi si perdano.

La decisione del governo sembra cercare un equilibrio fra i catastrofisti che continuano a prevedere centinaia o migliaia di morti per le strade in agosto e settembre, e chi vuole far ripartire l’agonizzante economia. Di fatto le statistiche di oggi ci dicono che ci sono stati dall’inizio di marzo 8,973 casi di Covid-19 confermati, 2,657 guariti e 173 morti. Il numero dei morti è ancora inferiore a quello degli annegati durante le alluvioni di febbraio-marzo. Cresce invece il numero di persone, moltissimi giovani, che prima dell’epidemia avevano magari un lavoro decente, e adesso sono letteralmente alla fame. A Koinonia, in particolare a me, pervengono quotidianamente richieste di persone che chiedono solo farina per la polenta. Anche maestre di scuole elementari, gestori di bancarelle, laureati in informatica.

I nostri bambini e ragazzi sono tutto sommato fra i fortunati. Le bambine della Casa di Anita nel periodo di isolamento sono diventate un specie di felice repubblica indipendente, i ragazzi di Tone la Maji studiano al mattino e giocano a calcio il pomeriggio, i grandi che sono a Kerarapon seguono i vari corsi che abbiamo organizzato per loro, catering, saldatori, falegnami. Ristabiliscono i legami con la famiglia attraverso il telefono che abbiamo messo a disposizione. Ieri R***, diciassettenne e magro come un “omena”, i pesciolini essiccati che si mangiano con la polenta, mi tira in disparte e mi mostra uno spiegazzato biglietto da cento scellini (un po meno di un euro) e, usando tutti i trucchetti per intenerire che ha imparato in strada, mi dice “guarda cosa sono riuscito a conservare dalle elemosine che raccoglievo in strada, Vorrei mandarlo a mia mamma con Mpesa (il sistema telefonico per trasferimento di denaro). L’ho chiamata e mi ha detto che ha fame, ma se tu me lo raddoppi sarà più contenta…”.

Per alcuni maggiorenni abbiamo fatto un contratto con una scuola guida perché possano avere la patente auto. Solo due o tre sembrano non fare progressi, ed uno ha dato segnali di squilibrio mentale, costringendoci a ricoverarlo in un un ospedale psichiatrico, da dove è tornato ieri in condizioni che sembrano stabili. Per molti di loro il problema di base è l’autostima. Non hanno la percezione di essere vittime. Piuttosto si sentono colpevoli. Colpevoli di essere scappati da una casa dove magari erano abusati, colpevoli per non essere mai andati a scuola, colpevoli per aver fatto piccoli furti per mangiare. Hanno interiorizzato il disprezzo che “la società” ha per loro. E’ una vecchia storia. Scriveva Frantz Fanon un secolo fa che la cultura dominante (nel suo caso in Francia) fa si che i dominati interiorizzino il disprezzo che il dominatore ha per loro. Il caso di questi ragazzi è lo stesso, si sentono inadeguati ad essere parte di una società che per anni li ha scartati e dimenticati. Bisogna camminare al loro fianco perché possano riscoprire la loro dignità e il loro valore.

3 luglio. Coronavirus in Kenya (27)


Il giornale di stamattina diceva che ad oggi, dai primi di marzo, ci sono in 6,673 casi confermati, 2,889 guarigioni e 149 decessi. Gli esperti prevedono un drammatico peggioramento in agosto e settembre. Ma nell’ambiente in cui vivo, fra le persone che conosco, la percezione diffusa è che il pericolo sia passato e si dovrebbero riaprire le scuole, i ristoranti, e le altre istituzioni che sono state chiuse all’inizio della pandemia, sopratutto che finiscano le restrizioni sui viaggi interni. I viaggi all’estero via aerea sono il privilegio di pochi, e non sono un problema per i miei amici. Stiamo facendo fatica a mantenere Kivuli chiusa, la vita dall’esterno preme sul grande cancello blu.

Già due settimane fa Alex, un sedicenne di Tone la Maji, mi ha chiesto di essere circonciso. Mi sono consultato con gli operatori e la richiesta ci è parsa ragionevole, addirittura un bella idea per approfittare di queste vacanze forzate, visto che di solito la completa guarigione dalla circoncisione richiede dall’una alle tre settimane. Altri si sono aggregati, abbiamo ottenuto il consenso dei genitori, e mercoledì della scorsa settimana un gruppo di 14 ragazzi è stato circonciso dal nostro personale medico del Kivuli Dispensary.

La circoncisione nelle tradizioni di molti popoli africani – con elementi particolari molto diversi – segna il momento di passaggio dall’infanzia all’età adulta, e a fa parte di un periodo di iniziazione in cui solo alcuni anziani maestri di vita possono stare insieme agli iniziandi e li istruiscono sui comportamenti e sopratutto sui doveri che un uomo ha verso la comunità. Al termine dell’iniziazione c’è una festa comunitaria per l’accoglienza dei neo-adulti.

Nella vita tradizionale l’iniziazione era un rito di importanza difficile da sopravalutare, e creava coesione sociale, solidarietà, senso di comunità. In città è sopravvissuta solo la circoncisione, anche perché promossa in quasi tutta l’Africa nera dai governi, in base a studi fatti durante la precedente pandemia, quella di HIV- AIDS, che l’abbinavano ad una diminuita diffusione della malattia.

Fra i nostri ragazzi tutto è andato bene e naturalmente abbiamo cercato di dare un significato a quato momento, sottolineando l‘importanza dei valori della tradizione e facendo con loro lettura del breve racconto delle circoncisione di Gesù e anche degli Atti degli Apostoli dove si riporta la decisione degli apostoli che la circoncisione può essere eseguita ma non è obbligatoria. Abbiamo soprattutto insistito sui doveri di un cristiano adulto.

Non siamo i primi a scopriere che la Cresima ha una affinità particolare con i riti tradizionali di passaggio che erano comuni, con circoncisione o senza, a tutte le etnie africane, ma, da quel che so, i tentativi di inculturazione in questa direzione hanno incontrato profonde resistenze. Come tutto il processo di inculturazione che ironicamente – o tristemente? – è stato bloccato dopo la celebrazione del primo Sinodo Africano nel 1994. Si sono fatti più progressi o per lo meno più tentativi, nel “cristianizzare” i riti, molto meno praticati, che venivano fatti per le ragazze a comportavano anche le inaccetabili mutilazioni genitali.

Oggi, conclusione seconda settimana di corso di catering, H*** un quasi trentenne che è arrivato a Nairobi otto anni fa dal villaggio nell’assurda speranza di trovare lavoro e invece è finito quasi subito in strada, annuncia a tutti: “Non sono mai rientrato al villaggio perché mi vergognavo. Partendo avevo promesso a mia nonna che da Nairobi le avrei inviato dei soldi per essere tranquilla nella sua vecchiaia. Adesso sono felice, mi impegno al massimo e so che presto la potrò aiutare”. La forza dell’amore delle nonne! H***, come la maggioranza di questi ragazzi appartiene alla generazione che è stata allevata dalle nonne perché i genitori erano morti per l’AIDS.

La foto è un attimo rubato durante la Messa di domenica scorsa. Come d’abitudine tutti i ragazzi di Tone la Maji erano curvi, il volto fra le mani, nel momento della preghiera dei fedeli, con tanti interventi di preghiere anche molto lunghe…. interminabili. Ad un certo punto alzo la testa, mi guardo in giro, e vedo il piccolo Kevin, che seminascosto dalla schiena del vicino mi lancia uno sguardo d’intesa. Non ho resistito, ho preso il telefonino che era in modalità silenziata ed ho scattato questa foto. Chiedo pietà ai liturgisti. Spero nessuno mi denunci alla santa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Ma se la forza della preghiera si misura con l’amore lo squardo di Kevin mi rassicura. Non sarò condannato.

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