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Ritorni

Ritorna la guerra sui Monti Nuba
Inevitabilmente i problemi non risolti si ripresentano. Spesso, dopo un soluzione affrettata e imposta con la forza, diventano più complicati e intrattabili. Cosi è per la questione dei Nuba in relazione al Sudan e al Sud Sudan – che si interseca con la questione della mancata definizione del confine e del controllo dei campi petroliferi – non risolta dal CPA (Comprehensive Peace Agreement) del 2005 e neanche negli anni successivi. Mi è capitato di scriverlo più volte, anche in questo blog, attirandomi rimproveri di essere pessimista. Adesso, in una Guest House di Juba, capitale del nuovo Sud Sudan, dove sono arrivato ieri sera e starò per pochi giorni, rappresentanti delle organizzazioni che mi dicevano pessimista, sono i primi ad affermare che il pomposo aggettivo “Comprehensive” era un inganno, che nascondeva i problemi, rimandandone la soluzione all’esercizio di uno spirito di collaborazione che tutti sapevano non ci sarebbe mai stato. Una vecchia conoscenza, un olandese che aveva cominciato a frequentare i Monti Nuba alla fine degli anni novanta, e che sarebbe già in pensione se non fosse stato ingaggiato da un’agenzia umanitaria come consulente, mi fa notare “Tutto il personale ONU, UNICEF, UNDP, UNHCR e simili cambia totalmente nel giro di pochissimo tempo. Ormai non c’è più nessuno che era qui alla firma del CPA, ed io, in Sudan dal ’97, sono un sopravvissuto. Non c’è memoria istituzionale. Non solo nessuno sembra interessato e leggere i rapporti che i loro predecessori facevano pochi anni fa, ma nessuno riesce a capire la profondità del risentimento dei Sud Sudanesi contro il governo di Khartoum. Tutti credono o fingono di credere che la storia del Sud Sudan sia cominciata con l’indipendenza proclamata il 9 luglio dello scorso anno”.

Dal 26 al 31 marzo alla Shalom House si è riunita la comunità Nuba di Nairobi, sostenuta dalla Diaspora Nuba di tutto il mondo, e con qualche rappresentante dei campi di rifugiati del Kenya, per ricordare che la guerra sui Monti Nuba c’è ancora, se possibile ancora peggiore di quella degli anni 90. I Nuba hanno organizzato un mostra di recenti fotografie per denunciare gli orrore dei recenti attacchi contro la popolazione civile. C’è stata una buona coperture della stampa, radio e televisioni keniane. I ragazzi delle nostre case hanno animato le giornate, e in maggioranza hanno partecipato al digiuno di venerdì 30. Il problema è sempre “come possiamo aiutare per ristabilire umanità, ragione e pace?”. Le nostre sono piccole forze di fronte alle grandi forze di male che sono scatenate su questa terra da decine di anni. Facciamo un appello? Un altro dopo quello che la stessa diaspora Nuba ha lanciato attraverso Nigrizia? E poi lo stesso “genere letterario” dell’appello è abbastanza abusato e squalificato. Mi dice un rifugiato Nuba: “comincio a capire gli attivisti di altre parti del mondo che si immolano dandosi fuoco per attirare l’attenzione su un problema.”

Il ritorno di Franklin Odhiambo
Dal 2000 al 2004 il bambino icona di Kivuli era Franklin (o Francis) Odhiambo, insieme al suo inseparabile amico Mark Pesa. Franklin era una specie di Gian Burrasca, e, come succede spesso in questi casi, la sue avventure venivano anche esagerate e diventavano in poche ore parte della leggenda. Poi uno zio venne a prenderlo e lo portò al villaggio di origine, garantendo, di fronte ad un magistrato, che se ne sarebbe preso cura. Ne perdemmo le tracce. Le cose non andarono bene, lo zio scomparve e Franklin fu preso in una casa per bambini della sua zona. Pochi mesi fa, dopo aver terminato gli esami della scuola superiore con ottimi risultati, entrando nell’ufficio del direttore, vide sul tavolo una foto che il direttore aveva fatto con me lo scorso anno, e si fece dare i contatti di Kivuli. Cosi, quando son rientrato a Nairobi a fine marzo me lo son ritrovato a Kivuli. Mi ha implorato di portarlo ad incontrare Mark, che sta facendo l’ultima classe di scuola superiore a Domus Mariae.

Mark (a sinistra) e Franklin.

John Epucha torna alla vita
Nei pochissimi giorni trascorsi a Nairobi, fra Lusaka e Juba, ho incontrato i “nuovi” bambini riscatti dalla strada del nostro team di Kibera. Ci sono le storie più incredibili, dal Kevin (un altro!) tredicenne pacioccone arrivato pochi giorni fa da Mombasa nascosto sotto il vagone di un treno e subito preso dalla polizia e portato a Ndugu Mdogo, a John Epucha, un ragazzino Turkana – il popolo seminomade che vive vicino al confine con l’Uganda. John racconta in modo vivace che due anni fa ha deciso di sfuggire ad una vita di analfabetismo e povertà assoluta come quella che ha visto fare da suo padre, pastore di una stentata mandria di cammelli e capre, sempre al limite della sopravvivenza e della fame. Si è nascosto in un camion, fra un carico di capre destinate al macello di Nairobi, e per due giorni ha vissuto nascosto fra le loro gambe, riuscendo solo a bere un po dell’acqua che veniva data per mantener gli animali in vita. Quando sono arrivati a Nairobi era probabilmente svenuto dalla stanchezza e dalla fame, e il camionista deve averlo trovato, coperto di escrementi, nel cassone del camion quando hanno scaricato le capre. Lo ha messo al margine della strada, vicino al macello, forse credendolo morto. Il fresco della notte gli ha fatto riprendere le forze, e prima che la giornata finisse si era già fatto degli amici di strada, che lo ammiravano per l’incredibile avventura e per l’insostenibile puzza che emanava. Da allora ha imparato le strategie per sopravvivere in strada. Poi la scorsa settimana un ragazzo che è stato a Mdugu Mdogo lo ha convinto che può iniziare una vita nuova. Eccolo, nella foto qui sotto, nella veranda di Ndugu Mdogo, pronto a ricominciare. Ma, dice “fare i tre chilometri da Kawangware a Ndugu Mdogo è stato più lungo che da Lodwar a Nairobi. Avevo paura di essere rimproverato e punito. Non credevo che mi accettassero cosi come sono”.

2 Comments

  1. Maria do Carmo Gomes Ribeiro says:

    Grazie Signore per gli occhi di John Epucha! Perché sono ancora cosí: raggiante di Vita e Bellezza, come Te!

  2. Agradesco el reporto y las fotos, creo conocer de vista al P. Kizito. Pienso que este material sirve para la animasion misionera. Muchas gracias.

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