Una vita in Africa – A life in Africa Rotating Header Image

May, 2009:

Aiuto, gli Aiuti!

Anni fa, Nigrizia pubblicò un dossier intitolato “Aiuto, gli aiuti”. In poche parole vi si sosteneva la tesi che gli aiuti internazionali fanno più male che bene all’Africa, perché le modalità con cui vengono distribuiti non sono corrette.
Lo scorso anno, ai primi di giugno, mentre ero a Riccione per partecipare ad un seminario organizzato ai margini del Premio Ilaria Alpi, venni intervistato brevemente da un amico giornalista, Della’intervista, pubblicata da Il Redattore Sociale, il quotidiano La Repubblica riprese solo una frase, che pubblicò virgolettata e in grande evidenza per rinforzare il messaggio di un articolo. Era qualcosa del tipo “Molte ONG usano gli aiuti all’ Africa per aiutare se stesse. Padre Kizito”. Lo penso ancora.
Dopo quella citazione ricevetti tre email da amici che lavorano in diverse ONG dicendomi che trovavano quella citazione infelice. Risposi che, conoscendoli, so che loro e le loro ONG lavorano con serietà, ma che bisogna pur dire che per una buona maggioranza le cose non sono cosi. La mia non era una condanna indiscriminata, avevo detto “molte”, avrei anche potuto dire “una buona maggioranza”, ma non ho detto “tutte”. Avevo anche detto al giornalista che il mio personale parere ed esperienza e’ che quando si tratta di aiuti allo sviluppo “piccolo e’ bello”, perché le ONG piccole lavorano spesso con tanti volontari veri, non pagati, hanno motivazioni più genuine, lavorano in vero contatto con le persone locali e raggiungono risultati migliori. Io ho contribuito a creare almeno una ONG e due ONLUS in Italia, e almeno quattro ONG in paesi africani, e quindi ben so che possono essere ottimi strumenti per intervenire efficacemente in favore di chi ha bisogno, sia con aiuti di emergenza che per la promozione umana e educazione ai diritti.
A conferma del lato negativo del lavoro delle ONG ricevetti anche cinque email. Le rappresentava tutte una lunga e dettagliata lettera di una persona che dopo aver lavorato per un totale di 12 anni in due diverse grosse ONG aveva deciso di cambiar completamente lavoro proprio pochi mesi prima perché disgustato dalla lotta senza esclusione di colpi per assicurarsi i finanziamenti del nostro Ministero degli Esteri o della Comunita’ Europea, dall’inefficienza, dalla corruzione, dal fatto che trovare i finanziamenti e rendicontare i progetti diventa più importante che farli bene e far crescere la gente locale. E’ comprensibile come sia quasi inevitabile, se non c’e’ un’altissimo livello di motivazione, che ad un certo punto dell’ evoluzione di una ONG la presenza di professionisti ben retribuiti faccia si che il motivo dell’esistenza della stessa non sia più’ quello che fare progetti al servizio dei poveri, ma di ottenere finanziamenti per garantire la continuità dell’impiego.
Mentre invece funzionano gli aiuti che passano attraverso piccoli canali, dove la gente si incontra aldi la’ di tutti i tipi di divisioni, e dove la dignità’ delle persone e’ rispettata. . Penso alle iniziative di tante piccole ONG che hanno cosi di gestione quasi zero, ai gemellaggi fra scuole e associazioni e parrocchie e diocesi e magari anche squadre sportive, alla cooperazione decentrata fatta da comuni, provincie e regioni. Situazioni dove i volontari si pagano il biglietto aereo di tasca loro e, magari facendo errori, comunque meno gravi e meno costosi di quelli fatti dalle grandi ONG, si coivolgono in prima persona. Fortunatamente queste piccole iniziative sono molte e anche se non cambieranno la faccia dell’Africa, almeno ognuna di loro rida’ forza e speranza a qualche centinaio di persone. E non e’ cosa da poco, se confrontata col quadro fallimentare degli aiuti istituzionali.
Ho ritrovato tutto questo in un’intervista a Dambisa Moyo pubblicata lo scorso lunedì su La Repubblica. Il titolo e’ “Dambisa Moyo denuncia: gli aiuti salvano i dittatori e condannano l’Africa” La Moyo, zambiana quarantenne, economista che ha lavorato alla Banca Mondiale, e che lo scorso 11 maggio il Time ha inserito fra le cento persone più’ influenti del mondo, ha pubblicato un libro intitolato Dead Aid – che potremmo tradurre con Aiuti Mortali – in cui espone come le modalità’ degli aiuti siano sbagliate, ma mi pare, almeno dall’ intervista perché’ il libro non credo sia disponibile in Italia, che salvi proprio gli aiuti piccoli e mirati, che non passano attraverso i grandi canali istituzionali. Mentre gli aiuti diretti da governo a governo, dice, sono “diventati un immenso business dove ci guadagnano tutti tranne l’Africa: le ‘benemerite’ fondazioni americane, le multinazionali alimentari, le organizzazioni non governative”.
Allego qui sotto l’intervista scansionata.

aiuti-e-sviluppo_una-denuncia

Fratelli Per Niente

L’ immigrazione e’ un fenomeno in se’ positivo e arricchente per la società Italiana. Ci provoca all’apertura sociale e culturale, e, incidentalmente ma forse per alcuni e’ la cosa più’ importante, crea ricchezza. Tutte le statistiche lo dimostrano. Eppure abbiamo un capo del governo che la nega, che addirittura non la vede. L’Italia e’ già una societa’ multi-etnica. L’ho visto nelle scuole di Torino dove sono andato coi bambini del Koinonia Children Team lo scorso dicembre: in alcune classi i figli di immigrati arrivavano al 60 per cento, e gli insegnanti erano giustamente orgogliosi della straordinaria ricchezza rappresentata dai loro bambini, anche se, ovviamente, qualche problema c’e’. Queste aule multi-etniche ormai nelle medie e grandi città’ sono la regola. Ma chi frequentano i nostri governanti?

L’immigrazione dovrebbe quindi essere governata, e un governo intelligente dovrebbe preoccuparsi di accelerare e migliorare il processo di integrazione. Invece abbiamo un governo che già nella precedente campagna elettorale ha esasperato i lati negativi di questo fenomeno e fatto della immigrazione il capro espiratorio di tutti i nostri mali. Cosi’ i barconi carichi di persone che non sono criminali, ma sono poveri che vengono in cerca di lavoro, che sfuggono a persecuzioni, guerre e fame, sono stati dipinti come ricettacoli di delinquenza. Chiunque abbia frequentato i veri delinquenti – a me ogni tanto capita – sa che si vestono, bene, si profumano e usano tutti i trucchi per apparire piu’ belli di ciò che sono dentro.

Cio’ che e’ successo pochi giorni fa alla stazione di Palermo e’ stato emblematico. Una persona con problemi psichici ha incominciato a prendere a martellate due anziani. Uno dei due e’ morto poco dopo e l’altro e’ ancora in pericolo di vita. C’erano presenti decine e decine di persone, e nessuno e’ intervenuto. Quando sono arrivati due ragazzi Nigeriani, “irregolari”, hanno bloccato l’ assassino che stava fuggendo e l’ hanno consegnato alla polizia. In quel momento tutti i coraggiosi palermitani presenti, tutti rigorosamente italiani doc, hanno circondato l’assassino ormai inoffensivo ed hanno cercato di ammazzarlo a botte.

Non basta aver dato ai due ragazzi il permesso di soggiorno per cancellare la vergogna che questi fatti ti fanno crescere dentro.

Vi propongo su questo tema un editoriale di AMANI del mese scorso. Chi non sapesse ancora chi e’ AMANI può’ visitarne il sito che e’ nella lista qui a sinistra.

FRATELLI PER NIENTE

Una domenica sera di febbraio la trasmissione Presa Diretta di Rai3 ha mandato in onda una puntata tutta dedicata a storie d’immigrazione. In una di queste succedeva che i vigili del fuoco facevano sgomberare a Napoli uno stabile giudicato inagibile, nel quale abitavano famiglie italiane e straniere. A sera, le autorità municipali avevano trovato agli italiani una sistemazione di fortuna; gli immigrati erano stati invece lasciati sulla strada. Alcuni di loro hanno occupato allora per protesta il Duomo ed è stato lì, sui banchi della chiesa, che un giornalista li ha intervistati. Uno, un ragazzo africano, riferendosi all’accaduto ha detto che in Italia c’è l’apartheid, perché ci sono disparità di trattamento a seconda del colore della pelle. E ha aggiunto che è inutile dirsi cristiani e appellarsi al messaggio di fratellanza del Vangelo perché, se queste cose succedono, allora vuol dire che «non siamo fratelli per niente».

Quel ragazzo aveva ragione. Non siamo fratelli per niente di chi è lasciato a dormire per strada, mentre al suo vicino viene offerto un letto per la notte. Non siamo fratelli per niente di chi non ha diritto alle cure mediche, mentre il suo simile sì, solo perché ha un pezzo di carta in più. Non siamo fratelli per niente di chi raggiunge le coste europee a rischio della vita e viene per tutta accoglienza messo in prigione. Non siamo fratelli per niente di chi viene schedato senza aver fatto nulla di male, soltanto perché non ha un tetto. Non siamo fratelli per niente di coloro a cui neghiamo un luogo di culto, che è un bisogno fondamentale di ogni essere umano.

«Quello che non ho sei tu dalla mia parte», diceva il titolo che apriva il seminario indetto a Caserta, dai volontari di Amani e dagli immigrati che lì vivono, nel marzo 2008, qualche mese prima della strage di settembre a Castel Volturno, nella quale vennero uccisi cinque di loro, tre ghanesi, un liberiano, un togolese. Sono parole di una canzone di Fabrizio De André, che cantava gli ultimi e gli esclusi; loro ne hanno fatto un appello. Un obbiettivo da raggiungere. Noi dalla loro parte.

«Porta il tuo cuore in Africa», dice lo slogan di Amani. Ma oggi l’Africa è qui, è da noi. L’Italia è la nostra Africa dei diritti fondamentali negati, della solidarietà rifiutata, dei torti inflitti al più debole, a colui che non ha nulla. Noi di Amani pensiamo che si debba fare qualcosa. Non soltanto per i bambini di strada di Nairobi e di Lusaka. Non soltanto per i ragazzi delle montagne Nuba. Si deve fare qualcosa anche per questa Italia africana. Chiediamo agli amici, ai sostenitori, ai volontari di Amani di segnalarci proposte ed idee che si aggiungano alle nostre.

Nel giugno 2008 Amani è stata tra i promotori della Porta di Lampedusa, il monumento ai migranti morti in mare, opera di Mimmo Palladino, che si inaugurò in quei giorni sulla scogliera dell’isola che guarda a sud. Vorremmo che quel monumento, che per migliaia di migranti ogni anno è un punto di arrivo, diventasse per noi un punto di partenza, alla ricerca di nuovi fratelli.

Open Letter

My dear brothers and sisters, boys and girls, children who in Kenya, Sudan and Zambia live in Koinonia Community homes,
During this Easter time some of you, even some friends from Italy, have mentioned that in the past they were touched by the “Parable of the Good Farmer and the Juicy Mango”, that I had said on different occasions during our Eucharistic celebrations, and have asked me to write it down. It is not my creation, I remember reading it somewhere. Let me all the same write down my version, and when I will find out who is the original author I will give him or her the due credit.

Once upon a time there was a very good and wise African chief. In his area people lived peacefully, and when there was a quarrel, he administered justice with wisdom.
In his area there was a young peasant farmer called Tutu. He worked very hard so that his wife and three children could always have good food, and in his family there was much love.
One day, as he was working in his orchard, Tutu saw that many mangoes were about to ripen, and one among them was very big, and from the color and the smell he thought that after three days it would be perfectly ripe and juicy. So, he colleted it carefully and took it home. That evening, after they had shared the meal, Tutu showed the mango to his wife and children and said: “Look at this beautiful mango, it is the best I had ever seen, and surely will be delicious to eat. I collected if for you, but then I thought that it is so nice that we can make a gift to our chief. He is a good man, and we have never been able to show him our appreciation. What do you think?” They all thought it was a suitable gift for the chief.
The following day Tutu put the mango in a small box and set out for the walk to the chief’s home that could take about four hours. After some time he met on the road a young rich trader on a beautiful horse, who was going to the market to be held in the chief’s village to sell precious cloths. When the trader saw that Tutu was holding a box with such great care, he became curious and asked what was inside it. Very happily Tutu showed his mango and said he was going to present it to the chief as a special gift. The young trader laughed so much that tears were rolling down his cheeks: “Do you really believe that the chief will care about a mango? He has people giving him very precious gift! He will think you are making fun of him, and will send you away in disgrace”.
But Tutu was not discouraged. He put the mango back into the box and went on.
When he reached the chief’s compound he was stopped by some of the chief’s attendants. He explained to them he wanted to offer his mango as a gift to the chief. The attendants shouted at him, telling him the chief had not time to spare for such small matter.
But the chief, who was in a hut nearby, heard the shouting, asked what was the reason, and then ordered to allow Tutu to see him. Tutu came in, presented the mango to the chief, and said” This is the best fruit that has ever grown in my field. Please accept it as a sign of the respect and love that my family and me have for you. You are a wise chief, you have kept peace and justice in our land, we are happy to be part of your people”.
The chief turned to his teenager son and whispered: “Tutu is not just giving us a mango, his giving his heart. Go, take the best horse we have, so that I can exchange his gift with a suitable one”.
Tutu was surprised when the chief gave him a beautiful black horse as his own gift. He did not expect the chief to give him anything. But he accepted, because he did not want to displease the chief, and set out for the trip back home.
On the way back, he found again the young rich trader, who was shocked when he saw Tutu riding a beautiful horse, and when Tutu explained him what had happened, he started to think how to get also a gift from the chief.
Tutu reached home and spent the whole evening with his family, telling them what had happened and praising the kindness and generosity of their chief.
The following morning the trader went to see the chief, riding his most magnificent horse. When he was admitted to the chief’s presence he bowed profoundly and said: “Our most gracious chief, you are so powerful and well known that I have decided to make you homage of this beautiful horse”. While he was saying so, in his heart he was thinking that if the chief has rewarded Tutu with a horse in exchange for a mango, he would give him something really valuable, maybe a very precious stone, in exchange for his horse.
The chief listened, exchanged a glance with his son, and said to the trader: “I do not know how to thank you enough for this very valuable gift, but I have an item that is very dear to my heart. It is painful for me to give it out, but I think you really deserve it” and indicated to his son to go and get it. The trader kept his eyes low, expecting to see the chief’s son to come back with something extraordinary. The son came back to the hut with Tutu’s mango and the chief handed it to him, holding it with great respect.
The trader was barely able to contain his anger, but managed to show a smile. He left and when he thought of being far from the sigh of the chief, he furiously threw away the mango and went away on foot, thinking that he had now to buy another horse, and that he would never wish to see the chief again.
The chief turned to his son and said: “That young rich man will be unhappy all of his life, because he does not know how to appreciate the value of a gift”.

We can see in this parable that the most precious gift we can give is our love. The mango is a very suitable fruit to represent it, because it has the shape of a heart. Who is the chief who deserves it? It is God, who rules us with the law of love. If we do not understand the greatness and the importance of his love, if we do not find happiness and peace in surrendering to him, we just do not deserve it. And we become unhappy, nothing will ever satisfy us.
Jesus is the Son of the Chief, and He has learned and practiced the lesson taught by His Father, putting his love and life entirely at our service.
But we can also see the parable from another angle. Many times I have also thought you are my chiefs. You allow me to enter into the kingdoms of your dreams; you trust me and share your goodness and life with me. You give me the gifts of your smile and of your happiness, and you give me the energy to walk with you.
Really, God wants us to be each other’s chiefs. He is not jealous of his position. Actually He is happy to see that His children love and serve each other, especially during difficult times. We can exclude ourselves from His love only when – like the reach young trader – we consider material possessions more important than love, service, and harmony with the people around us.
In this Easter season may you feel Jesus always close to you.
Father Kizito

Italiano English
This blog is multi language by p.osting.it's Babel