Una vita in Africa – A life in Africa Rotating Header Image

March, 2011:

Chirurgia Povera e Vita Piena

In viaggio verso i Monti Nuba (Nord Sudan secondo la geografia politica, Sud Sudan secondo la geografia etnico-culturale) mi son portato due libri sul Sudan di recente pubblicazione in Italia. Non so chi sia proprietario della casa editrice, ma son felice che ci siano ancora editori che pubblicano lavori su temi cosi “secondari”. Se si leggesse di più, cominciando dalla scuola, sui popoli “altri”, si allargherebbero anche i nostri orizzonti mentali, culturali e politici.

“Sudan: Un Conflitto Dimenticato. La lotta del popolo Nuba per non scomparire” di Andrea Bartolini, L’Harmattan Italia, 2010
Per i pochi che si interessano da qualche tempo delle attività di Koinonia e di Amani, questo è un tema ben conosciuto. Bartolini ne presenta una sintesi storico-politico stringata ma precisa e che aiuta a cogliere gli elementi più importanti di un quadro estremamente complicato, inserendo la questione Nuba nella storia del Sudan, partendo dal tardo ottocento fino ad oggi.

La conclusione di Bartolini resta attuale anche oggi, dopo che il Sud Sudan ha manifestato con un referendum pacifico la sua volontà di indipendenza dal Nord, che diventerà ufficiale il 9 luglio prossimo con la nascita della Repubblica del Sud Sudan. Decisione che sancisce definitivamente l’appartenenza dei Monti Nuba (ufficialmente South Kordofan) al Nord Sudan, perché cosi previsto dall’accordo di pace che il Sud ha siglato con il Nord il 9 gennaio 2005.

“Proprio la possibile secessione del Sud, rappresenta un fattore di tensione per la leadership Nuba, perché ciò vorrebbe dire trovarsi isolati all’interno di un’amministrazione che fino a qualche anno fa si è macchiata di atroci delitti e politiche da diversi autori definite genocidarie, senza poter sperare nell’appoggio degli alleati meridionali.
Ancora una volta, i Monti Nuba sembrano essere stati trattati come merce di scambio nel confronto fra Khartoum e Juba, e la situazione non potrà che peggiorare senza una forte volontà di democratizzazione e un impegno serio e puntuale per risolvere le cause che sono state alla base della sollevazione in queste zone, prime fra tutte la depredazione delle risorse naturali e umane e la politica di arabizzazione”
.
In altre parole, o il Nord Sudan diventa uno stato democratico moderno e riesce ad amministrare le diversità etniche e culturali come una ricchezza piuttosto che come una minaccia, o continuerà a frammentarsi fino a scomparire. Una speranza che Bartolini non ha prevista – nessuno l’aveva prevista – potrebbe venire dalla “rivoluzione araba” che sembra essere fallita in Libia ma potrebbe avere possibilità di successo a Khartoum, pur in una contesto ben diverso da quello della Tunisia e dell’Egitto.

Il libro di Bartolini è il risultato di una seria ricerca storica e politica, ed è ciò che ci si aspetta da un giovane che si interessa d’Africa da pochi anni. Invece il libro di Giuseppe Meo – “Africa Malata. Memorie di chirurgia povera in Sudan”, della stessa casa editrice, é il frutto di una vita appassionatamente spesa a fianco dei malati negli ospedali più dimenticati dell’Africa. L’ho letto con attenzione perché Meo l’ho conosciuto vent’anni fa e siamo diventati amici, pur incrociandoci troppo raramente. Vi ho trovato pagine che di grande interesse sui principi della chirurgia povera e sulla connessione fra povertà e malattia, che mi hanno confermato la visione che ha sostenuto questo esperto di “chirurgia povera”. Ma sopratutto vi ho trovato, espressa con parole quotidiane e molto misurate, una profonda spiritualità.
Si, il titolo non deve ingannare, questo è un libro di spiritualità. Fra le righe emerge una visone del mondo che è profondamente cristiana, e un senso della propria professione – che sia la chirurgia od altro non importa – come autentico servizio agli altri. In ogni pagina il lettore trova spunti che costringono a riflettere. Mi rendo conto di quanto deve essere stato difficile per lui, sempre riservato, scrivere un testo cosi, mettendo insieme le note che ha raccolto nel corso dei sui viaggi, e nello stesso tempo facendo capire le motivazioni del suo agire.
E’ un libro da raccomandare ai giovani che cercano la proprio strada e vogliono realizzare la pienezza di vita.

Mentre leggevo questi due testi ho viaggiato per i Monti Nuba e sono sulla via del ritorno. Ho visto tante scuole, tanti giovani, (allego qui sotto una foto fatta nella scuola he era di Kerker, adesso trasportata a Sarbule) ho sentito mille opinioni e mille promesse di impegno al servizio della propria gente. Ma cosa succederà durante e dopo le elezioni previste per la prima settimana di maggio?? Chi si impegnerà per un cambiamento positivo e chi si adatterà a qualunque cambiamento avvenga per amore di vita comoda? In incontrato uno dei figli di Philip Ghaboush, prete anglicano a padre del risveglio dell’identità Nuba, fondatore nel 1965 del General Union of the Nuba (GUN). Mi dice: Nei prossimi mesi ci saranno dei passaggi decisivi per valutare il progresso del Sudan verso la modernità. La proclamazione dell’indipendenza del Sud Sudan sarà un atto importante. Ciò che avverrà qui sui Monti Nuba dipende solo da noi. O diventiamo padroni del nostro destino nei prossimi dieci anni, o scompariremo come Nuba. I nostri figli allora non sono non saranno più Nuba, ma si vergogneranno di essere nati da noi.

Un Angelo in Incognito

Ho un amico, A., che vede gli angeli. A volte anche li fotografa, e lì incominciano i problemi fra di noi, perché se non ho ragioni per metter in dubbio le visioni che mi racconta, le sue foto mi lasciano più scettico. La mia formazione da perito meccanico e da fallito aspirante fotografo mi fa vedere una lampadina sovraesposta dove lui vede una presenza angelica. Dove lui, in una foto fatta nella nostra casa di Ndugu Mdogo a Kibera vede il dito di in angelo che indica il cielo e sullo sfondo il volto di un altro angelo, io vedo una combinazione di errori di messa a fuoco e di esposizione per cui il ditino che Wallace stava per mettersi nel naso è risultato chiarissimo mentre la sciabolata di sole sul viso di Eliud circondato da volti neri nella stanza buia gli dà effettivamente un aspetto evanescente, eventualmente però più simile ad un fantasma che ad un angelo.

Settimana scorsa A. mi ha scritto, mettendo altri due amici in copia, di aver visto in una trasmissione televisiva in Italia due persone che dicono di aver fotografato degli angeli durante un incidente aereo, poi finito bene. Adesso A. li vuole contattare per comparare le foto. Uno degli amici in copia, B., che è un vero mistico e che scrive bellissime poesie, gli ha risposto: “io lascerei perdere le “immagini” del sacro. Nei suoi bellissimi scritti San Giovanni della Croce (insieme ad altri grandi mistici) ci suggerisce come ci si debba liberare delle manifestazioni “sensibili” di Dio, false o autentiche che siano. Penso che l’unica cosa interessante sia la ricerca di Dio nel cuore, dove non vi è nulla di eclatante ma solo un rapporto profondo di amore silenzioso, oscurato da tenebre che lo custodiscono.”

Partecipo a questo scambio di corrispondenza in email mentre sono a Lusaka., in visita a Mthunzi, e, pur nel mio scetticismo, il pensare agli angeli ha stimolato una riflessione sulla vera natura di Noah. Che é un ex bambino di strada come tanti altri, che non emerge in nessun modo, solo un po più timido e obbediente. E’ arrivato da noi lo scorso giugno, avrà sei anni adesso, ed ha cominciato a frequentare la prima elementare all’inizio di quest’anno. Una caratteristica che lo distingue è di essere l’unico bambino africano che ho conosciuto in quasi quarant’anni – il mio primo viaggio in questo continente ormai risale al luglio 1971 – che non balla, non canta, non suona il tamburo, non batte il tempo in nessun modo. Ma la caratteristica più straordinaria è il sorriso.

Noah ha sorriso trasognato, interrogativo, sorpreso, ma pieno di dolcezza e di comprensione. Che non ti prende in giro, non giudica. E’ impregnato di una sapienza che viene da lontano ed ha una sfumatura di distacco, a volte di scetticismo. Che non ti mette a disagio, anzi, ti fa sentire benvoluto . Sembra che dica, mentre si mette in disparte e guarda gli altri che ballano improvvisando un ritmo su una pentola rovesciata. “ma guarda questi simpatici mattacchioni, chissà perché si divertono a fare sta cosa, comunque sono proprio bravi”. Altre volte si guarda intorno con un sorriso perplesso, come si domandasse “ma io qui, come ci son capitato?”

A. mi ha contagiato, ed ho cominciato a pensare che Noah sia un angelo in incognito. Ma quando ho tentato di fotografare quel suo sorriso più enigmatico di quello della Gioconda non sono mai riuscito a catturarne il mistero. In foto diventa un sorriso qualsiasi. Al contrario delle foto di A., dove si vede ciò che non esiste, le mie non riescono a catturare ciò che è visibile a occhio nudo. Ve ne metto qui sotto una delle tante che gli ho fatto in questi giorni, sempre insoddisfatto per non essere riuscito a cogliere le misteriose e mutevoli qualità del suo sorriso.

La sera, ogni volta che rientro a Lusaka, godo di uno straordinario privilegio; sono l’unico spettatore di uno spettacolo che i bambini di Mthunzi fanno solo per me. Mettono una comoda sedia al centro dello spazio che usano per questo scopo, io mi ci siedo, e tutti vanno in scena. Lo staff non assiste perché ha visto questi spettacoli centinaia di volte. I bambini si scatenano e fanno cose straordinarie. A me sembra sempre che questi spettacoli siano immensamente più belli di quelli che fanno davanti agli altri, perfino di quelli che li ho visti fare in Scozia, durante una delle loro uscite internazionali.

Da quando c’è Noah, il rito cambia, perché anche lui fa lo spettatore. Si siede in terra, davanti a me,e usa i miei stinchi come schienale. Ogni tanto si gira e mi guada in su, con un sorriso che vuol dire “ma ti rendi conto di quanto siano bravi questi miei fratellini?”

In una cosa Noah non assomiglia per niente agli angeli. A tavola mangia fettone di polenta con manciate di pesciolini secchi che a me manderebbero in catalessi. Forse già mentre contemplava il volto di Dio dall’inizio dei tempi, pensava ad una pausa con “pulenta e pesit”, come si usava a Lecco, e adesso che ne ha l’occasione non si tira indietro. Non lo so, non mi faccio domande di spiritualità o di teologia, mi dico solo che – sia un angelo in libera uscita o un bambino con anni di fame arretrata – io ho la responsabilità di nutrirlo. Se è a Mthunzi é perché doveva venire qui.

Ieri notte, dopo lo spettacolo, ho fatto un sogno. Era la fine del mondo, e mentre mi avvicinavo agli angeli incaricati di discernere gli eletti, ho pensato che non fossero molto simpatici, e che poi magari erano fra quelli che si divertivano a giocare a nascondino nelle fotografie di A. Un gioco un pò sciocco, a dir poco. Ho fatto male, perchè evidentemente mi hanno letto nel pensiero, mi hanno afferrato e buttato come un sacco là dove c’è pianto e stridore di denti. Mentre cadevo nel baratro, due manine, odorose di pesce secco, mi hanno afferrato e portato al cospetto di Dio. E Noah, con la sua vocina intercedeva per me “Perdonalo, Padre, è stato davvero per tanti un rompiscatole non da poco, ma con me è stato buono, mi ha dato tante buone cose da mangiare, non dimenticherò mai la sua pulenta e pesit”. E Dio ha sorriso e mi ha preso a riposare nelle Sue Mani.

Italiano English
This blog is multi language by p.osting.it's Babel