Il Kenya sta affrontando molte sfide importanti – il processo alla Corte penale internazionale (Cpi) di Presidente e vice-Presidente, i ciclici scandali dovuti alla corruzione, la scarsa professionalità delle forze dell’ordine, il crescente divario fra ricchi e poveri e la crescente paura dell’estremismo islamico. per non elencare che i primi che vengono in mente – e i leader religiosi stanno dando un ben povero contributo alla ricerca di soluzioni, o almeno per alimentare un dialogo su questi temi. La fede cristiana è diventata un libro di ricette per fare miracoli e per raggiungere la prosperità. Una via di fuga, non un reale impegno per trasformare la società.
Questa la tesi sostenuta da padre Gabriel Dolan in un articolo recentemente pubblicato su The Nation, il principale quotidiano kenyano, dando la colpa di questa situazione ai leader religiosi di tutte le fedi, che sono diventati assenti dal dibattito pubblico.
Dolan ha scritto: «Un mese dopo il massacro Westgate [ …] è bene guardare a ciò che hanno fatto anche i nostri leader religiosi e valutare criticamente se hanno mostrato capacità di ispirazione o leadership quando la nazione era in subbuglio. I leader musulmani hanno subito condannato gli attacchi terroristi così come hanno preso le distanze dagli attaccanti che si è detto avessero selezionato i non-musulmani per essere uccisi.
I leader religiosi sono molto bravi a parole a condannare la violenza, e così hanno subito organizzato conferenze di carattere inter-religioso ovunque i mass-media fossero disponibili. I leader religiosi sono piuttosto bravi anche a organizzare preghiere, e così tre giorni dopo si sono tutti radunati nei loro abiti pittoreschi nel KICC (Kenyatta International Conference Centre, il più prestigioso centro congressi di Nairobi) a guidare una preghiera ecumenica e a condividere il podio con la classe politica e diplomatica . Ma là è finito anche il loro contributo.
Non c’è stato alcun dibattito pubblico da parte della comunità islamica sulla sua incapacità a impedire la militarizzazione di molti dei suoi giovani. I nostri leader religiosi sono capaci di contribuire solo con la preghiera e la condanna, ma non riescono a organizzare un dibattito a livello nazionale sull’importanza di creare una nuova etica pubblica. Così la maggior parte di loro fanno notizia quando condannano i preservativi, certi libri e i gay, un approccio che difficilmente può attirare i giovani che sono alla ricerca di una guida».
Padre Dolan ha anche ricordato che quando il Parlamento del Kenya ha deciso di votare a favore del ritiro dalla Corte penale internazionale, solo l’arcivescovo di Kisumu Zaccheus Okoth si è schierato a favore del mantenimento del paese nel Trattato di Roma e del completamento dei procedimenti in corso alla Cpi. Okoth è stato ignorato anche dagli altri vescovi cattolici, lasciando pensare che gli altri vescovi cattolici preferiscano seguire, in obbediente silenzio, la linea governativa. Lo stesso vale per i capi musulmani.
La prova che quanto padre Dolan ha scritto è vero, è il fatto che le sue parole così dure non hanno suscitato alcun dibattito pubblico. Sono passate due settimane e nulla è successo. Eppure la tensione tra cristiani e musulmani continua a crescere, alimentata dagli estremisti, ma ben poco è stato fatto dai leader religiosi per disinnescarla.
Solo padre Wilybard Lagho, vicario generale dell’arcidiocesi di Mombasa, ha rilasciato un chiaro comunicato stampa spiegando che non c’è nulla di intrinseco all’islam o al cristianesimo che possa essere identificato come fonte di intolleranza. Il problema è che la religione viene usata e abusata dai leader a scopi politici.
Eppure in passato non sono mancati leader religiosi coraggiosi, che hanno rischiato la vita, e sono stati uccisi, per aver criticato il presidente Arap Moi. Oggi però «mantenere un basso profilo, non rischiare di dire parole che possano creare difficoltà» sembra essere la scelta dei leader religiosi kenyani di tutte le fedi.
Padre Dolan ha concluso il suo articolo con una certa amarezza : «Chi disturba è ucciso, diceva qualche decennio fa l’arcivescovo Romero; non sono molte le possibilità che questo accada oggi in Kenya».
While Kenya faces many daunting challenges, religious leaders have contributed little towards finding solution, or at least provoking a national debate. The Christian faith has become a recipe book for miracles and prosperity, an escape route and a substitute for a real commitment to transform society.
In an article recently published in The Nation, the main Kenyan newspaper, father Gabriel Dolan lamented the absence of the religious leaders from public live.
He wrote: A month after the Westgate massacre […] it is good to look at the performance of our religious leaders, too, and critically evaluate whether they showed any inspiration or leadership when the nation was in turmoil. Muslim leaders led the rush to condemn the terrorists attack as well as to distance themselves from the attackers who originally were reported as singling out non-Muslims for execution.
Religious leaders are very vocal at condemning violence, and soon press conferences of an inter-religious nature were convened wherever media houses have bureaus. Religious leaders are also pretty good at leading prayers, and so three days later they all assembled in their full regalia at KICC (kenyatta Internationa Conference Centre, the most prestigious congress centre in Nairobi) to lead the ecumenical prayers and to share the podium with the political and diplomatic class. And there their contribution ended.
There was no public interrogation by the Islamic community on their failure to prevent the militarisation of many of their youth. Our religious leaders can only contribute with prayers and condemnation but fail to lead national debates on the creation of a new public ethic.
So they mostly make news when they condemn condoms, books and gays, an approach that can hardly appeal to youth looking for guidance.”
Father Dolan also recalled that when the Kenya Parliament decided to vote in favour of withdrawing from the ICC, only Archbishop Zaccheus Okoth of Kisumu supported the idea of retaining the country as a member state and favouring the completion of the ongoing cases. He was ignored, suggesting that the other Catholic Bishops prefer to toe the government line, in silent obedience. The same is true for the Muslim leaders.
A counter-proof that what father Dolan wrote is true, is the fact that his words did not ignite any public debate. Two weeks have passed and nothing has happened. Particularly worrying is the tension between Christina and Muslim. While extremists are at work to fuel the fire, little it is done by religious leaders to defuse it.
Only Fr Wilybard Lagho, Vicar General of the Catholic Archdiocese of Mombasa, has issued a very lucid press statement explaining there is nothing intrinsic to Islam or Christianity that can be identified as the source of intolerance except when religion is misused by leaders for political aims.
Yet in the past there have been courageous religious leaders, some even risked their lives, and they were killed, for having criticised President Moi. Today, however, “keep a low profile, do not risk of saying words that can put you in trouble” seem to be the choice of religious leaders of all faiths.
Father Dolan concluded his article with a bitter sentence: “Whoever disturbs is killed, Archbishop Romero said decades ago; not much chance of that happening these days.”
Fedeli in preghiera sul luogo dell’attacco terroristico al Westgate Mall. Faithful in prayer at Westgate Mall,