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November, 2016:

On the (yellow) train of modernity – Sul treno (giallo) della modernità

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Il primo tratto (Mombasa-Nairobi) della nuova linea ferroviaria che attraverserà il Kenya e che in futuro proseguirà verso la capitale ugandese Kampala sta per essere completato ed è destinato a definire il futuro di questo paese.
I lavori del tratto di 472 km sui 1.300 previsti in territorio kenyano sono iniziati nel 2013 e si prevede saranno terminati nel giugno 2017, in tempo per le elezioni presidenziali fissate per il successivo 8 agosto. Il viaggio da Mombasa e Nairobi sarà ridotto da oltre 12 ore a 4 per i passeggeri e a 8 ore per i treni merci, con la previsione che in un anno potranno essere trasportate 22 milioni di tonnellate di merci. Costruito dalla China Road and Bridge Corporation e finanziato al 90% dalla Export-Import Bank of China il costo è calcolato in 3 miliardi di euro, a cui bisogna aggiungere circa 200 milioni di euro per le stazioni, che a Mombasa e Nairobi includeranno grandi shopping mall e alberghi finanziati da compagnie locali e internazionali, e che saranno successivamente collegate con i rispettivi aeroporti con linee metropolitane veloci.
C’è già in programma che la ferrovia dal confine occidentale del Kenya prosegua fino a Kampala, Uganda e da lì si ramifichi verso Juba, Sud Sudan e Kigali, Rwanda. Nel percorso da Mombasa a Nairobi ci saranno cinque grandi stazioni intermedie e altre trentatré di minore importanza. La Cina fornirà cinquantasei locomotive a motore diesel (l’elettrificazione è prevista solo fra qualche anno), mille e seicento venti vagoni merci e quaranta carrozze passeggeri. La nuova ferrovia si snoda per la maggior parte del percorso parallelamente alla vecchia ferrovia e alla strada, deviando solo quando necessario per evitare tratti troppo ripidi. Il segmento che attraversa il parco naturale dello Tsavo è in gran parte sopraelevato, per garantire la possibilità agli animali di spostarsi seguendo le loro piste tradizionali. Oltre a ridurre il traffico sulla congestionatissima strada, dovrebbe promuovere il turismo, con l’offerta di una vista spettacolare sui parchi e la Rift Valley.
È di gran lunga il progetto più ambizioso e costoso che il Kenya abbia intrapreso dall’indipendenza ad oggi, e coloro che sono contrari accusano l’attuale governo di creare un indebitamento e una dipendenza dall’economia e tecnologia cinese per decenni a venire.
La seconda fase del progetto, da Nairobi al confine con l’Uganda, dovrebbe iniziare presto ma è bloccata da molte controversie. La più rilevante riguarda il percorso da seguire in uscita da Nairobi. Secondo il progetto governativo il nuovo percorso in uscita da Nairobi non potendo più muoversi parallelamente alla vecchia linea perché ormai l’area è tutta costruita, dovrebbe attraversare il Nairobi National Park, unico parco al mondo situato entro i confini di una grande metropoli. Ecologisti e conservazionisti si oppongono strenuamente, sostenendo che ciò segnerebbe la fine del parco, già pesantemente penalizzato dalla circonvallazione costruita due anni fa e da precedenti sviluppi urbani abusivi, fatti ai tempi del presidente Moi negli anni Novanta, con la sua connivenza.
Quelli del Lunatic Express
Le controversie non furono poche anche oltre un secolo fa, quando fu costruita le vecchia linea, partendo nel 1895 da Mombasa, raggiungendo Nairobi nel 1900 e Kisumu nel 1902. È ancora la spina dorsale del paese e intorno a essa sono sorte le principali città, inclusa Nairobi, descritta allora come zona “paludosa e malsana”. A quel tempo la forza lavoro era costituita essenzialmente da indiani, appositamente reclutati, che poi si stabilirono in Kenya dando vita a una numerosa e prospera comunità. Nel 1898, quando si stava costruendo il ponte sul fiume dello Tsavo, almeno 35 (ma alcuni sostengono più di 100) lavoratori indiani furono divorati dai leoni. Su questo episodio John H. Patterson, il direttore dei lavori, scrisse un libro e dal 1950 ad oggi sono stati realizzati una mezza dozzina di film. Gli oppositori dell’impresa nel parlamento di Londra, l’allora potenza coloniale, la giudicarono inutile e la chiamarono ironicamente Lunatic Express, perché voluta da lunatici.
Ma il “serpente di ferro”, come venne invece chiamato dai locali, fu il motore della crescita del Kenya. Costruita a scartamento ridotto è oggi obsoleta (è ancora ironicamente chiamata Lunatic Express per indicarne l’inaffidabilità) è ormai largamente insufficiente a smaltire il traffico dei container che dal porto di Mombasa devono proseguire per Nairobi e poi verso tutti i paesi dell’interno, Uganda, Sud Sudan, Rwanda, Burundi e la parte orientale della Repubblica Democratica del Congo.
La nuova linea ferroviaria è l’icona del nuovo Kenya. A Nairobi negli ultimi anni sono sorti enormi palazzi in cemento e vetro destinati a uffici di lusso, e i grandi centri commerciali nascono come funghi. Nel sobborgo di Karen – prende il nome dalla scrittrice danese Karen Blixen che possedeva tutta l’area – fino a vent’anni fa un semplice incrocio stradale con pochi negozi e tre ristoranti, si vedono oggi tre grandi centri commerciali, più palazzoni di lusso. Non è ancora finito il battage pubblicitario per un centro commerciale che si annunciava come il più grande del Kenya, con ristoranti che si affacciano su un lago artificiale, che inizia la costruzione di un altro, “il più grande d’Africa”, comprendente altre mirabolanti novità.
Basta essere assenti per qualche mese e ci si trova disorientati. Catherine Njuguna, emigrata a New York dieci anni fa, neo-laureata cerca di fortuna appoggiandosi ad un fratello partito in precedenza, e rientrata a Nairobi con in tasca ben poco a parte le cittadinanza americana, non crede a suoi occhi: “Mentre io ero in America, l’America è venuta qui!”
È una rincorsa alla classe medio-alta, che secondo le statistiche è in continua crescita, senza alcuna considerazione per i milioni, letteralmente, di poveri che vivono nella miseria degli slum della capitale keniana e non possono neanche permettersi il lusso di prendere il trasporto pubblico per andare al lavoro, costretti così a farsi chilometri a piedi ogni giorno.
Alcuni esperti del settore preannunciano che la bolla urbanistica presto esploderà, già ci sono i sintomi: centinaia di uffici e abitazioni di lusso vuote, eccedenti la domanda. Ma Nairobi sembra ancora in preda ad un’ubriacatura collettiva di consumismo, un desiderio smodato di lusso e di “modernità” che non accenna a diminuire.
Ci sono in Kenya due economie, una che viaggia con l’alta velocità e l’altra con il Lunatic Express. Due economie che vivono fianco a fianco e non si incontrano mai. L’alta borghesia, la classe politica, i dipendenti della compagnie internazionali, i funzionari delle innumerevoli agenzie delle Nazioni Unite, delle ambasciate e delle grandi ong che appena hanno un mal di denti vanno a farsi curare a Londra, e i poveri cristi che mangiano una volta al giorno. O non mangiano per niente, per la siccità che sta devastando il nord del paese. Notizia che nei giornali locali è sempre pudicamente relegata nella pagine interne.
Mi dice un amico francese che lavora a Gigiri, il grande quartiere sede dei diversi uffici delle Nazioni Unite, «ci sono dei miei colleghi la cui vita si svolge tutta a Gigiri, nei centri commerciali, nelle scuole internazionali se hanno dei figli, negli alberghi di lusso in occasione di convegni, nei ristoranti, e per spostarsi dispongono di un auto con autista. Se si sentono in vena di grandi avventure, alla Hemingway, fanno una visita a un parco, pernottando in “tende” dotate di tutti i servizi, buffet all’aperto, tre giorni tutto compreso per una cifra equivalente allo stipendio sommato del cuoco, autista, giardiniere e donna delle pulizie che li servono nella loro casa privata. Non hanno mai visto non dico uno slum, ma neanche un quartiere povero. Questa è la città simbolo dell’ingiustizia sociale mondiale».
Interessi comuni
La nuova ferrovia è anche simbolo del crescente prestigio del presidente Uhuru Kenyatta, che alcuni sondaggi danno per vincente alle elezioni del 2017 con oltre il 60% dei voti. Indubbiamente è un abile politico, che è riuscito a riconciliare entro il suo partito fazioni e tensioni etniche che solo pochi anni fa sembravano irrevocabilmente avverse. Che è riuscito ad attirare investimenti e a mantenere equilibrio fra gli alleati internazionali, anche se la crescente importanza della Cina nell’economia keniana suscita non pochi malumori a Londra e Washington. Quando è entrato nell’agone politico nel 2002, Uhuru era stato visto importante solo per il nome (suo padre Jomo Kenyatta è stato il primo presidente del Kenya) e per la consolidata ricchezza familiare, ma con gli anni si è rivelato molto abile e capace di superare ostacoli e attrarre investimenti là dove il suo predecessore Mwai Kibaki aveva fallito. Kibaki ha lasciato a Kenyatta anche la pesante eredità dell’intervento militare in Somalia, che continua a causare le rappresaglie di Al-Shabaab, e i trementi atti di terrorismo che insanguinano il Kenya, l’ultimo poche giorni fa a Mandera, con dodici e molti feriti.
La nuova ferrovia sarà anche il segno visibile della dipendenza dalla Cina, di cui si è già parlato. Un’intera generazione di ingegneri andrà in Cina a studiare per garantire il perfetto funzionamento di tutta la ferrovia, ed è facile pensare che i contratti per le compagnie cinesi continueranno ad aumentare. I cinesi rigettano le accuse di gestire in modo autonomo tutte le operazioni connesse al gigantesco progetto, e il responsabile del Public Service del Kenya, Nzioka Waita, ha recentemente precisato che durante la costruzione della ferrovia oltre 30mila keniani sono stati assunti a tempo pieno e che è in corso un processo di capacity building e trasferimento delle responsabilità
Dal canto suo, Macharia Munane, professore universitario di relazioni internazionali, ha sostenuto sull’agenzia d’informazione cinese Xinhua, che la modernizzazione delle reti ferroviarie e stradali in Africa realizzata del governo cinese negli ultimi anni è qualcosa che nessun potere coloniale ha mai fatto e che la cooperazione fra Africa e Cina è basata sulla realistica percezione di interessi comuni ed è destinata a continuare.
Ma il grande progetto ferroviario è anche un nodo che evidenzia lo scontro fra uomo e natura. In Kenya come in poche altre parti del mondo balza agli occhi come la crescita demografica e la modernità siano in competizione con l’ambiente naturale, e l’ambiente, gli animali in particolare, siano sempre perdenti.
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