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August, 2018:

Frammenti di vita Nuba ((6)

Stamattina siamo pronti per tornare in Sud Sudan, campo profughi di Yida. Ci aspettano una decina di ore di viaggio su pista dissestata. Appena avviati, sulla grande spianata che serve da campo di calcio, prima del mercato e della moschea, troviamo una ragazza e un ragazzino di forse 12 anni che ci chiedono un passaggio. Dopo che si sono sistemati sull’auto cerco di capire dove vadano. La ragazza non parla una parola d’inglese, ma il ragazzino mi spiega che lui si chiama Adam, e la ragazza è sua zia, sorella minore della mamma. Ma dove vanno? “Per le vacanze scolastiche andiamo ad aiutare mia mamma che sta nel campo profughi”. Che aiuto le darai? “Lavorerò nei campi, coltivando la durra che nutrirà mia mamma per tutto l’anno. Un sacco lo porto anche a Kauda, sarà il mio contributo al mantenimento dei maestri”. Il suo sogno è di finire la scuola elementare a Kauda e poi andare a frequentare la Vision Secondary School, che Koinonia sostiene ad Yida con fondi donati dall’8×1000 delle Chiesa Italiana.

Nel primo pomeriggio, dopo cinque ora di guida e un centinaio di chilometri di pista, ci fermiamo un una capannuccia di canne, a lato della strada, dove una donnina prepara caffè speziato, tostando ogni volta la quantità necessaria in una padellina, per poi polverizzarlo in un mortaio di legno. Dopo aver aggiunto zenzero e spezie varie offre questa corroborante mistura infuocata.

Dalla direzione opposta arriva un camion di una piccola ONG americana che rifornisce di medicine l’ospedale del dottor Tom e i pochi dispensari sparsi per tutta l’enorme area nuba. L’assistente autista, un ragazzotto di una ventina d’anni quando mi vede salta giù dal camion prima che sia completamente fermo, mi corre incontro, mi abbraccia. “Tu certamente sei abuna Kizito. Io invece sono Kizito. Ti ricordi di me?”. “No – dico io esitante – non mi ricordo”. “Ma sei stato tu a battezzarmi!”. Fra adulti e bambini ho battezzato qualche centinaio di persone, ma questo proprio non me lo ricordo. “Ma si, me l’ha detto mia mamma, e mi ha raccomandato di non dimenticarmelo mai. Ad Amdrafi, una notte di Pasqua.

Mi ricordo! Era il 97. Avevo celebrato una prima veglia pasquale a Kerker, appena tramontato il sole. Poi una camminata di quasi due ore ed eccoci a Amdrafi. Siamo, come sempre di Pasqua, in piena stagione secca, il grande spazio intorno alla rustica chiesetta in pietra inondato dalla luce della luna pena. I cristiani avevano preparato un enorme fuoco pasquale, torce e grandi contenitori di acqua. Avevo chiesto che i segni della Pasqua, luce, fuoco, acqua fossero chiari e visibili. I bambini da battezzare sono parecchi più di cento. Al momento dei battesimi mi viene vicino Paul, il vecchio catechista che ha preparato sia i catecumeni adulti che i genitori dei bambini. Per i piccoli mi presenta i genitori per nome, e poi il bimbo, e Stephen, mio assistente, mi passa un guscio di zucca secca colmo d’acqua che verso tutto sulla testa del bimbo.

Dopo oltre un’ora ne mandano solo una decina. E’ il turno di una mamma con un bebé, e dopo avermi detto i nomi di mamma e papà Paul mi sussurra il nome del bambino “Hitler”. Non ho ma avuto ragione di rifiutare un nome di battesimo, ma questo non è accettabile. “Ma sapete chi era Hitler?” No, non lo sanno, sanno solo che era un uomo importante… e non hanno preparato un’alternativa. Mi guardano preoccupati. “Allora – dico io – lo chiameremo con il nome di un santo Ugandese, del quale anch’io ho preso il nome. Kizito. Va bene?” Approvano felici. “Kizito, io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, e anche con Kizito non risparmio acqua.

Ecco che adesso, dopo ventun anni, Kizito, che pensava potessi riconoscerlo perché l’ho battezzato bebè, mi racconta che vuol fare il camionista, felice di andare su e giù fra Sudan e Sud Sudan portando medicinali e beni di emergenza per la sua gente. Mi racconta della sua vita in pochi second. Della mamma e del papà che gli hanno sempre raccomandato di essere un buon cristiano. Della ragazza che lo aspetta. Salta sul camion che sta già ripartendo e continua dal finestrino a salutarmi con grandi sorrisi e grandi gesti finché lo vedo. Sarebbe stato un pessimo Hitler.

A Yida accompagniamo Adam e sua zia a casa della mamma. Salutandomi Adam mi bisbiglia “Abuna, abbiamo bisogno di maestri. Ce ne mandi altri da Nairobi?”

Nota finale con domanda: ho fatto questo viaggio dal 26 giugno al 5 luglio. Sono rientrato a Nairobi col desiderio di trovare risorse per continuare a camminare a fianco dei Nuba e soddisfare la loro voglia di crescita umana e cristiana, la loro voglia di scuola. C’è qualcun altro che vuole camminare con noi?

(fine)

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