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Una Nuova Corsa all’Africa, o l’Inseguimento alla Cina? – A New Scramble for Africa, or the Pursuit of China?

Il decennio che si apre vedrà la Cina diventare la prima potenza economica mondiale? E’ probabile. Quello che si comincia a capire, a giochi fatti, è che in Africa il decennio dell’avanzata cinese è stato quello che si è appena chiuso, e il prossimo decennio sarà quello del consolidamento delle posizioni. Dal 2000 ad oggi la Cina in Africa ha fatto progressi irreversibili, conquistandosi la fiducia di molta parte della classe dirigente, e diventando il principale donatore e partner commerciale di molti paesi.

I cinesi si sono imposti anche perché fanno infrastrutture che gli altri non fanno più, con investimenti enormi. Dopo gli errori del passato – i grandi stadi, i faraonici palazzi presidenziali – oggi i cinesi privilegiano la costruzione di infrastrutture di comunicazione, grandi strade, ferrovie, porti, aeroporti. E li costruiscono in fretta, con efficienza, senza i ritardi, senza le condizioni e sopratutto senza le false promesse che sono diventate un contrassegno della cooperazione occidentale. E’ vero che sono infrastrutture che servono anche ai cinesi per acquisire materi prime, ma servono anche localmente, e restano, e sono altamente visibili.

A Nairobi le compagnie di costruzioni cinesi stanno trasformando la faccia della città. La strada per Thika, la cittadina industriale a circa 50 km al nord della capitale, con i suoi 250,000 veicoli al giorno in transito, era diventata un incubo per gli automobilisti. I cinesi la stanno portando a quattro corsie, più due di servizio, in entrambe le direzioni, per un totale di 12 corsie. Il governo keniano finanzia 15% dell’opera, il resto lo finanzia il governo cinese. La gente guarda allibita le gigantesche opere – sovrappassi, sottopassi, svincoli – e approva. Finalmente un cambiamento, finalmente, dopo tante promesse, i fatti.

Già si parla del nuovo porto industriale a Lamu, e del collegamento con i giacimenti petroliferi nel Sud Sudan, quel Sud Sudan che fra una settimana voterà e sceglierà l’indipendenza. Il porto di Lamu sarà più grande del porto di Mombasa e i lavori dovrebbero cominciare entro la metà di quest’anno, il collegamento con un oleodotto, una ferrovia e una strada è un’opera di importanza strategica ed economica assolutamente straordinaria. Chi li costruirà? I cinesi sono i più probabili candidati. Eppure i cinesi hanno terminato oltre 10 anni fa l’oleodotto che dagli stessi giacimenti va verso nord, a Port Sudan, e quindi erano logicamente visti come alleati del Nord contro il Sud Sudan. Nonostante questo non si sono dubbi che i Sud Sudanesi accerteranno senza difficoltà l presenza cinese in un’opera di tanta importanza strategica. I cinesi non mettono condizioni, non fanno domande imbarazzanti sui diritti umani, sulle leggi per la protezione dei lavoratori, sul regime politico. Non pretendono di mantenere il controllo, fanno solo manutenzione se sono pagati. Non fanno neppure obiezioni sull’impatto ambientale. Lamu, che è un gioiello della civiltà Swahili in una laguna da sogno e dove fino ad oggi l’unica auto esistente è quella della polizia, per i resto ci si muove solo a piedi, in bicicletta o con l’asinello, potrebbe essere travolta da un porto di quelle dimensioni, ma questo per i cinesi non è un problema, è un problema per il Kenya, e se il Kenya decide di fare il porto e fanno un debito contratto, loro il porto lo costruiscono a tempo di record.

Le critiche dell’occidente a questa pesante e crescente presenza cinese non mancano, e si focalizzano sul fatto che i cinesi fanno solo puro business. I cinesi non lo negano. D’altro lato l’Occidente ha ben poca autorevolezza politica e morale per denunciare i metodi altrui. Non si può nascondere che i quasi cinquant’anni di cooperazione e aiuti all’Africa dei paesi occidentali sono stati, globalmente, un disastro da tutte le prospettive, dall’ economica alla morale, passando per lo sviluppo e la politica.

Dove dieci anni fa gli europei e americani vedevano solo i problemi, i cinesi hanno visto delle opportunità. Hanno comperato terreni, miniere, partecipazioni in concessioni petrolifere che le compagnie occidentali snobbavano perché sembrava dovessero dare profitti a troppa lunga scadenza. Oggi le acquisizioni cinsi si sono rivelate lungimiranti, in un continente dove gli occidentali cominciano ad accorgersi che non ci sono solo fame, guerre e miseria ma dove da qualche anno gli indici i crescita economica sono in costante ascesa.

Ciò che gli europei vedono in Africa è ancora un po annebbiato dalla loro visione paternalista e condiscendente di vecchi colonialisti. Gli americani stanno aprendo gli occhi, se non altro perché si vedono sfuggire il controllo delle riserve petrolifere africane. Recentemente Micheal Battle, ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Unione Africana, una posizione creata dal Presidente Bush nel 2006, in in incontro tenutosi lo scorso settembre alla University of Virginia, ha detto “If we don’t act now we will miss a golden opportunity in Africa, and wake up to find that China and India have divided up the continent without us.” Battle non avrebbe potuto essere più esplicito, e invece di invocare alti principi di intervento umanitario, cooperazione e sviluppo, ha fatto un discorso tutto centrato sulla necessità di difendere e potenziare la presenza militare americana e di sostenere l’espansione delle compagnie americane nel continente nero. Ha parlato di sollecitare i governi a “harmonising trade rules” e “simplifying regulations”. Un intervento molto concreto, da businessman. Lo stesso discorso che i cinesi hanno cominciato a fare 10 anni fa, e che hanno continuato a fare, riuscendo a non farsi notare, con costante determinazione. Ma oggi la presenza cinese e il suo successo in Africa è cosi evidente che essi stessi non riescono più a nasconderla.

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