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Cristiani-Musulmani: Convivenza a Rischio

Non sono un esperto di Islam. Anche se vivo in Africa da 35 anni, non ho mai avuto il tempo e l’occasione di approfondirne la conoscenza. Sono semplicemente un missionario che nei suoi giri per l’Africa e nelle sue attività quotidiane si è spesso trovato a fare un pezzo di strada insieme ad alcuni musulmani. Sempre nel reciproco rispetto e qualche volta stringendo profonde amicizie. Per questo mi sento ferito dalla crescente incomprensione e violenza che sta scavando un fossato fra le due fedi, sopratutto in due paesi chiave per l’Africa come la Nigeria a Ovest e il Kenya a Est.
In tempi anche recenti la convivenza pacifica in Africa sub-sahariana fra cristiani e musulmani era scontata. Tipico il caso del Senegal, un paese a stragrande maggioranza musulmana diventato indipendente nel 1960 e governato fino al 1980 dal presidente-poeta Leopold Sedar Senghor, uno che certo non nascondeva la sua fede cattolica, senza che ci fossero mai problemi e conflitti di religione. In Costa d’Avorio c’era un personaggio straordinario come Amadou Hampâté Bâ, nato in Mali ma di fatto portavoce del mondo islamico di tutta l’Africa occidentale. Sempre vestito con gli abiti tradizionali del suo popolo Fulbe, e a suo agio in una capanna di villaggio come nei corridoi dell’UNESCO e dell’ONU, Hampâté Bâ non aveva mai cercato posizioni di potere politico, ma la sua autorità morale era immensa e le sue mani erano sempre aperte all’amicizia e al dialogo con tutti.
La dove l’avanzata musulmana s’era fermata dopo la spinta iniziale, fra il Sahel e l’Africa sub-sahariana, l’aggressività s’era nei secoli stemperata nelle tradizioni africane di tolleranza, accoglienza e ospitalità. E così la convivenza rispettosa, con il successivo avvento dell’evangelizzazione cristiana nel Golfo di Guinea, era diventata parte della tradizione di entrambe le fedi. Lo stesso in altre zone. Tipica in Sudan la regione dei Monti Nuba, dove l’appartenenza religiosa diversa, anche all’interno della stessa famiglia, non costituiva motivo di tensione. O sulla costa orientale dell’Africa, dove dopo gli scontri fra i primi colonizzatori portoghesi e le popolazioni già islamizzate o di origine araba si era ritrovata la strada di una convivenza quotidiana pacifica.
La capacità di integrare le differenze è costitutiva delle culture africane, di una società dove la differenza, non l’uniformità, è la regola. Ma non si può negare che sotto una superficie tranquilla c’erano anche delle tensioni, seppur non gravi, alimentate da fondamentalisti di entrambe le parti, anche se in questo caso, bisogna ammetterlo, le responsabilità più gravi furono probabilmente di una frangia di missionari cristiani.
Perché allora di questi tempi, la crescente violenza, gli atti terroristici seguiti da reazioni inconsulte come gli attentati nelle chiese in Kenya a Nigeria? Proprio mentre con il Concilio Vaticano II e il movimento ecumenico in tutta la cristianità sono cresciuti il rispetto per le altre religioni, l’abitudine al dialogo e il rifiuto della violenza?
C’è stato il risveglio del mondo islamico e la presa di coscienza di una propria identità, che coincide con l’uscita del mondo arabo dalla tutela occidentale, risveglio iniziato verso la metà del secolo scorso e che si è progressivamente affermato. Vent’anni fa un vero esperto del musulmanesimo così mi spiegava la tensioni che cominciavano ad emergere anche in Africa, alimentate dalla ripresa del proselitismo islamico: “Nel mondo arabo hanno sempre pensato all’Africa sub-sahariana come al giardino dietro casa, che era trascurato, ma che comunque era il loro giardino. Oggi si sono accorti che quel giardino è diventato cristiano, quasi che il cristianesimo ne abbia preso possesso durante l’assenza del proprietario. E ciò non piace”.
C’è stato anche un crescente uso politico delle religione. Mentre il mondo occidentale diventava sempre più secolarizzato e ormai la religione ha poca importanza nella vita pubblica, tanto meno gioca un ruolo nell’elaborazione della politica estera, nel mondo arabo si pensa che occidente e cristianesimo coincidano. La reazione ed odio contro l’aggressività economica e culturale dell’occidente, alimentata da movimenti numericamente minoritari ma comunque importanti, diventa odio contro il cristianesimo, percepito come la religione degli occidentali.
Su questi due primi fattori si e’ innestato il fondamentalismo e fanatismo, rappresentato da organizzazioni che hanno notevolissima disponibilità economica e alimentano una vera e propria strategia delle tensione nelle aree più fragili.
Adesso il quadro non è più cosi chiaro come lo era una trentina di anni fa. Per esempio le tensioni che sono fondamentalmente di natura sociale, storica e culturale fra Sudan e Sud Sudan e fra Somalia e Kenya stanno prendendo una forte coloritura religiosa. Cosa ancora più evidente in Nigeria., dove il malcontento politico e la discriminazione economica trovano sfogo nella sfera religiosa.
Per evitare che il dialogo difficile diventi uno scontro violento dobbiamo fermamente reagire contro i fanatici che usano la violenza e negano i diritti umani, e d’altro canto dobbiamo offrire tutte le opportunità possibili alle gente che è ancora capace di una convivenza costruttiva.
Alla fine dello scorso luglio, quando era appena iniziato il Ramadan, ho incontrato per caso a Kibera, enorme baraccopoli di Nairobi, alcuni amici musulmani che in passato mi avevano aiutato a superare alcune difficoltà. C’era con me un gruppo di ex-ragazzi di strada, alcuni di loro musulmani, i quali da tempo mi avevano chiesto di poter pregare insieme ai ragazzi cristiani. Seguendo la loro ispirazione, ho chiesto di aiutarmi a preparare un incontro di amicizia fra musulmani e cristiani, organizzando insieme la festa finale per la chiusura del Ramadan. Abbiamo fatto un comitato, che ha deciso di invitare pastori di tutte le chiese cristiane presenti nel grande slum. Alla fine eravamo quasi trecento persone, radunatesi al calar del sole, dopo il tramonto dell’ultimo giorno di digiuno. Guidati degli imam locali abbiamo pregato e condiviso un pasto. Un semplicissimo gesto che purtroppo è parso straordinario, tanto che dopo qualche giorno l’imam più rappresentativo ed io siamo stati invitati da una televisione locale gestita da una chiesa protestante a spiegarne il senso.
La disponibilità a un convivere che non sia solo un indifferente tollerarsi, ma un costruire insieme una società più aperta e più giusta, esiste. Ma non dobbiamo perdere tempo. I segni che il baratro si sta allargando sono troppi. Lo scorso anno un’associazione di studenti musulmani sudanesi del Darfur, Sudan Sun Rise, espresse la volontà, in segno di riconciliazione e di apprezzamento per quanto fatto dal vescovo di Torit mons. Akio Johnson Mutek durante i lunghi anni di guerra civile, di aiutarlo a ricostruire la cattedrale, nel Sud Sudan, gravemente danneggiata, anzi praticamente distrutta durante il conflitto. In questi giorni, in seguito alle proteste di alcuni cristiani che non vogliono accettare il contributo dei musulmani per la ricostruzione della loro chiesa, il buon vescovo ha dovuto pubblicare una dichiarazione in cui rassicura il suo gregge che “non e stato fatto nessun passo, e la cosa è ancora oggetto di ampie consultazioni”. Davvero, non c’è tempo da perdere se non vogliamo che il dialogo diventi impossibile.

2 Comments

  1. Michele La Rosa says:

    Mi ha fatto molto piacere leggere questa tua testimonianza. Studiando Teologia mi sono accorto che c’è ancora in ambito Cristiano un profondo razzismo e una profonda ingoranza di chi vuole avvicinarsi alla Parola di Dio, con come un percorso di umanizzazione e fratellanza universale, ma come una arma che giustifichi il male da fare per interesse ad altri popoli, come per esempio è successo in IRAQ e in passato nelle crociate. Io farei partire il Dialogo Teologico con l’ISLAM da due punto essenziali che sono Abramo come nostro Patriarca comune nella vocazione alla creazione del popol odei Credenti: Regno di Dio per noi – ISLAM per loro che ha lo stesso significato teoretico e sul senso del Battesimo, come sacramento per Noi, mentre per loro c’è grazie all’opera straordinaria di Maometto, il concetto di purificazione prima della preghiera. Questo punto finale che presente i Mussulmani come impuri senza il lavaggio prima dell’ingresso in Moschea è una chiara testimonianza di come il Battesimo sia quasi presente anche nella loro fede. Se aggiungiamo che il Corano considera Sacri il Primo e il Nuovo testamento, abbiamo in mano la Chiave per sperare pregando che nasca l’esegesi del CORANO nel mondo Islamico. Questo porterebbe alla nascita della interpretazione letteraria e storica del testo e la comprensione alla luce della Bibbia, che siamo lo stesso popolo di Dio, diviso dall’incomprensione, dagli interessi politici e da chi usa la Fede non per amare ma per comandare, anche nella gerarchia Cattolica.

  2. Michele La Rosa says:

    Mi ha fatto molto piacere leggere questa tua testimonianza. Studiando Teologia mi sono accorto che c’è ancora in ambito Cristiano un profondo razzismo e una profonda ignoranza di chi vuole avvicinarsi alla Parola di Dio, non come un percorso di umanizzazione e fratellanza universale, ma come un’arma che giustifichi il male da fare per interessi ad altri popoli, come per esempio è successo in IRAQ e in passato nelle crociate. Io farei partire il Dialogo Teologico con l’ISLAM da due punti essenziali che sono Abramo come nostro Patriarca comune nella vocazione alla creazione del popolo dei Credenti: Regno di Dio per noi – ISLAM per loro che ha lo stesso significato teoretico e poi in secondo luogo sul senso del Battesimo, come sacramento per Noi, mentre per loro c’è, grazie all’opera straordinaria di Maometto, il concetto di purificazione prima della preghiera. Come se si sentisse la necessità di purificarsi da un peccato originale e come si senta il bisogno di un sacramento di riconciliazione con Dio. Questo punto finale che presenta i Mussulmani come impuri senza il lavaggio prima dell’ingresso in Moschea è una chiara testimonianza di come il Battesimo sia quasi presente anche nella loro fede. Se aggiungiamo che il Corano considera Sacri il Primo e il Nuovo Testamento, abbiamo in mano la Chiave per sperare pregando che nasca l’esegesi del CORANO nel mondo Islamico. Questo dovrebbe essere l’obiettivo dei Cristiani, aiutare i fratelli Mussulmani a studiare meglio il loro libro. Questo porterebbe alla nascita della interpretazione letteraria e storica del testo e la comprensione alla luce della Bibbia, che siamo lo stesso popolo di Dio, diviso dall’incomprensione tra gli uomini, dagli interessi politici e da chi usa la Fede non per amare ma per comandare, anche nella gerarchia Cattolica.

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