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IL MELOGRANO CHE VUOL RINASCERE, quarant’anni di Koinonia

Lusaka (Zambia) Da una settimana in Egitto è in corso la COP27. Inaugurandola Antonio Guterres, ha detto “Il clima è a un punto di svolta. Presto potrebbe essere troppo tardi per evitare una catastrofe. Un numero enorme di rifugiati, famiglie sfollate a causa del riscaldamento globale, potrebbero presto chiedere un rifugio ovunque lo trovino. Se non riusciamo a colmare l’enorme divario globale tra agiati e indigenti, saremo in rotta verso un mondo di otto miliardi di abitanti pieno di tensioni, diffidenza, crisi e conflitti”.

Qui, sul terreno di Koinonia, nella piccola fattoria di Laudato Si’ approfittando dell’inizio della stagione delle piogge, abbiamo continuato a fare ciò che possiamo fare per contrastare il riscaldamento globale e produrre cibo e che facciamo almeno da cinque anni: mettere a dimora piante da frutto. In questa settimana sono stati piantati sette manghi, quindici avocado, sei tamarindi, cinque mangostani, trenta papaie. Per rendere l’ambiente non solo più produttivo ma pure più bello abbiamo aggiunto tre jacarande e due flamboyant. Creato anche un vivaio con talee di fico, di pitaya (frutto del drago), senza contare bouganville, rose, rosmarino e erba salvia. Piccole cose per contrastare un grande cambiamento. Illusione? Solo convinzione che ciascuno deve fare la sua parte.

E’ stato anche un atto di riparazione per l’abbattimento di un grande albero indigeno quasi sessantenne la cui rigogliosa chioma era stata infestata in modo incontrollabile da un parassita che la usava come base da cui attaccare le 250 piante di papaia che abbiamo piantato tutt’intorno quasi due anni fa, rallentandone la crescita e la produzione di frutti. Per quanto il nostro esperto agronomo le abbia tentate tutte alla fine abbiamo a malincuore deciso di abbatterlo. Forse gli esperti climatologi ed ecologisti radunati a Sharm El Sheikh per la COP27 avrebbero potuto suggerici una soluzione meno drastica, ma la loro conoscenza non è accessibile a noi come ai centinaia di milioni di agricoltori africani che su questa terra vivono, lavorano e sudano ogni giorno. La partita del clima, come tante altre, si gioca non da quelli che ne subiscono le conseguenze, ma da quelli che hanno causato i danni. Dovremmo esserne tutti parte, ciascuno secondo i propri bisogni, mezzi e responsabilità.

Adesso il cielo è azzurro e luminoso, le nuvole basse, tanto basse che ogni tanto ti viene di chinare la testa per non cozzarci contro. La terra rossa che fino a pochi giorni fa aveva una gialla coperta di erbe secche e steli di mais rimasti dalla raccolta dello scorso aprile, è già coperta di tenero verde. I manghi sono carichi di frutti e di nuove foglie. Presto le tombe che il 2 novembre avevamo visitato insieme per ricordare i nostri fratelli e sorelle – mama Edina avvolta dall’invitante profumo di polenta che aveva appena finito di cucinare, i ragazzi fragranti dei fantasiosi profumi delle saponette a buon mercato usate per la doccia e i membri della comunità con ancor la zappa in mano – torneranno ad essere invisibili nell’erba che crescerà ad altezza d’uomo.

Ho speso buona parte degli ultimi quarant’anni calpestando questa terra e camminando con questi amici. Si, esattamente quarant’anni. Me ne sono accorto lo scorso gennaio quando, in un intreccio di cespugli vicino a Mthunzi ho intravisto un fiore rosso e avvicinandomi l’ho riconosciuto come un fiore di melograno. Cosa ci faceva li, quasi soffocato da altre due piante spontanee? Ho preso una zappa per ripulire e mentre lavoravo mi è venuto in mente che era il melograno che avevamo piantato nel giugno del 1982, quando con i primi ragazzi di Koinonia avevamo preso possesso definitivo della casa donataci dalla signora Joy Goodfellow. Il melograno simbolo dell’abbondanza della Terra Promessa, ma anche simbolo della Passione. Dopo la ripulitura abbiamo piantato un nuovo melograno ma la vecchia radice non completamente estirpata con queste piogge ha generato dei nuovi fittoni. Li abbiamo prelevati e messi nel vivaio. Un segno di continuità, di testardaggine, di fiducia nel futuro, altri quarant’anni di vita, che le difficoltà non riusciranno a sopraffare? Noi crediamo che la vita vince sempre, che i semi germoglieranno, che se anche noi non riusciremo con le nostre piccole azioni a sconfiggere la catastrofe climatica, alla fine ci saranno orizzonti più ampi, prati eternamente verdi, sorelle e fratelli eternamente vivi.

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