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Tegla Loroupe, la donna che corre per la pace. The woman who runs for peace.

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“Lo scorso anno ho visitato Kakuma, il campo per rifugiati nel nord ovest del Kenya dove si trovano sud-sudanesi, somali, somali, ruandesi e burundesi. Ho visto tanti giovani, alcuni che avevano praticato sport nel loro paese prima di diventare dei rifugiati, che si allenavano pur vivendo in una situazione difficilissima, e senza una dieta adeguata. Mi sono detta che dovevo fare qualcosa”. Tegla Loroupe, leggendaria maratoneta keniana, sta raccontando ad un gruppo di ex-bambine di strada come sia nata la sua più recente iniziativa: “Questa è una delle cose belle dello sport, che ti aiuta e vedere gli altri al di la delle etichette: non somali, o ruandesi o rifugiati, ma persone come te, che si impegnano per raggiungere dei risultati, che come te gioiscono per una vittoria e decidono di impegnarsi di più quando non raggiungono i traguardi che si erano prefissi”.

Tegla di traguardi ne ha raggiunti tanti. Nelle Olimpiadi del 2000, a Sydney, era la favorita nella maratona e nei 10,000 metri femminili. Aveva già vinto in tutte le principali maratone del mondo e aveva stabilito, oltre il record per la maratona, anche i record mondiali femminili per i 20, 25 e 30 chilometri, che ancora oggi non sono stati superati. Aveva già anche stabilito il record mondiale femminile di Un’Ora, percorrendo 18,340 metri. La notte prima della partenza per la maratona olimpica , Tegla soffri per una violenta intossicazione alimentare, cosi violenta che la sua salute ne restò minata per oltre un anno. Eppure dopo una notte tormentata da vomiti e diarrea, si presentò alla partenza e nonostante ricorrenti crampi allo stomaco, lottò fino alla fine, arrivando tredicesima. Il giorno dopo si presentò per le semifinali dei 10,000 metri, si qualificò, e il giorno successivo, in finale di 10,000 metri, riuscì ad arrivare quinta. Sempre a piedi nudi. Tutto perché, come dice lei senza enfasi, “dovevo tenere alta la bandiera del Kenya”.

Tegla ha fatto la sua ultima gara importante nel 2007, ma non si è messa in pensione. E’ stata nominata Ambasciatore dello Sport dalle Nazioni Unite e con la sua fondazione, Tegla Loroupe Peace Foundation, che da sei anni ha sede alla Shalom House di Nairobi, ha partecipato e promosso iniziative di pace in tutto il mondo.

La pace è il respiro del mondo, senza pace si muore.

Oggi è raggiante perché la sua azione per promuovere lo sport fra i rifugiati ha fatto un passo avanti. Insieme al Comitato Olimpico del Kenya e quello internazionale è riuscita a far partire un piccolo centro di allenamento per rifugiati sulle colline di Ngong, alla periferia di Nairobi. “Una ventina di rifugiati da paesi confinanti col Kenya si allenerà qui, inseme ad alcuni atleti keniani”. Perché, dice Tegla “gli sportivi, i veri sportivi, competono per il loro paese, ma sono persone che sanno convivere e promuovono la pace. Le scene di violenza che si vedono in certe cosiddette incontri sportivi sono assolutamente inaccettabili. Lo sport è pace! Questo nuovo centro per preparare atleti dell’Africa orientale a partecipare alle olimpiadi di Rio de Janeiro il prossimo anno è il primo tentativo di far allenate atleti rifugiati da paesi che sono in una situazione di conflitto, o l’hanno superata da poco. Sono sicura che da qui usciranno atleti che vinceranno medaglie. Alcuni mi chiedono: e se i paesi d’origine non accettassero di inserirli nella squadra nazionale? Troveremo il modo di superare anche questo ostacolo. Questi atleti saranno ancora più degli altri, un grande segno di pace. Dobbiamo fa capire a tutti che la pace è il respiro del mondo, dove non c’è pace si muore, sia fisicamente che dentro, nel cuore”.

La ragazzina che la federazione atletica Keniana inizialmente aveva giudicato troppo esile per poter competere in gare internazionali, continua a correre con la caparbietà che la contraddistingue. Non più per un’altra medaglia d’oro: per la pace.

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One Comment

  1. Antonio Portioli says:

    Ma Brava Tegla; che poi la sua “Tegla Loroupe Peace Foundation” abbia sede alla “Shalom House” mi sembra una combinazione veramente felice.
    La sua nuova iniziativa, il “centro di allenamento per rifugiati sulle colline di Ngong” non avrà per caso sede nella casa di Anita?
    Auguri da Toni

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