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February 17th, 2008:

America e Cina

I negoziati fra governo e opposizione continuano, e Kofi Annan fa balenare speranze di accordi a breve termine, entro una settimana.

Intanto si vengono a sapere particolari che sempre piu’ inficiano i risultati delle elezioni, probabilemnte non solo di quelle presidenziali ma anche di quelle parlamentari.

Un amico che e’ professore di diritto internazionale ha avuto la pessima idea di candidarsi al parlamento per il PNU, il partito di Kibaki, in un collegio elettorale vicino al lago Vittoria, una zona tutta pro ODM, dove e’ nato.. Ieri mi raccantava le sue disavventure. Tre giorni prima delle elezioni, sono arrivati in zona dei personaggi della polizia amministrativa, che secondo la gente, avevano il compito di fare dei brogli a favore di Kibaki. Lui e gli altri candidati del PNU, lui dice, non sapevano niente di questa cosa e cosi’ quando la gente ha incominciato a cacciarli, letteralmente, e ne hanno uccisi tre, si sono trovati in grosso pasticcio. Al giorno delle elezioni e’ andato a votare insieme alla mamma molto anziana, che non sa leggere. Al seggio elettorale la persona incaricata di aiutare gli analfabeti ha preso la scheda ad ha chiesto alla mamma “Per chi vuole votare?” Lei ha detto PNU. L’ incaricato invece ha fatto la croce sul simbolo dell’ ODM, sempre fissando negli occhi il figlio, come a voler dire “prova a protestare se ne hai coraggio”. Questo e’ uno dei seggi in cui l’ ODM ha avuto il 93% per cento dei voti. Due giorni dopo i militanti ODM hanno circondato la sua casa rurale, dove stava con la mamma ed altri parenti, e li hanno fatti uscire, poi hanno incendiato la casa e nel cortile hanno sepellito una foto di Kibaki. La mamma e’ morta poche ore dopo, sconvolta da quanto aveva visto. Lui e’ rimasto nascosto in casa di amici per due settimane, e poi e’ riuscito ad arrivare a Nairobi dopo un viaggio di sei giorni, che mi ha descritto come l’ attroversamento di un girone infernale.

Viene subito alle labbra una domanda: ma allora se le cose sono andati cosi e se, come ormai e’ evidente, nelle rispettive roccaforti i due partiti che si scontravano hanno forzato la gente a votare per i propri candidati, come mai gli osservatori internazionali non hanno visto niente ad hanno inizalmente detto che le elezioni si erano svolte in un perfetto clima democratico? Non hanno visto le intimidazioni? Come mai si sono accorti che il conto dei voti e’ stato fasullo solo dopo che i risultati sono stati annunciati? Questi osservatori servono ancora a qualcosa?

Il mio testo che segue e’ stato utilizzato oggi come editoriale di Agora’, l’inserto domenicale del quotidiano Avvenire.

 

MA È L’OCCIDENTE CHE CONTINUA A SOFFIARE SUL FUOCO

di Kizito Renato Sesana

Èdifficile scrivere di Africa.

Sempre più difficile.

Soprattutto se si ama questo continente e la sua gente, e vi si è spesa quasi tutta la propria vita da adulti, com’è il mio caso. Ho cominciato a scrivere di Africa nel 1970, e da allora ho visto troppe genuine speranze frantumarsi sugli scogli del cattivo governo e delle interferenze esterne. Si firmano trattati i pace, ma scoppiano subito altre guerre. I trattati diventano carta straccia nel giro di poco tempo, e i conflitti armati si trascinano per anni, come piaghe purulente. Come continuare a dire parole di speranza quando si parla dell’Africa?
Gli avvenimenti recenti del Kenya sono paradigmatici. Nel 2002 i keniani riescono a democraticamente togliere il potere dopo 24 anni! – a Daniel Arap Moi, e i primi passi del nuovo governo sono incoraggianti. Ma presto favoritismi e corruzione tornano a prevalere, il governo si spacca, l’ opposizione si organizza in quello che assomiglia a un movimento popolare. A fine 2007 la campagna elettorale divide il paese lungo linee etniche, e subito dopo le elezioni, ferocemente contestate, si scatena sopratutto nelle Rift Valley una violenza di una brutalità mai vista. In poche settimane quello che era un paese modello per sviluppo economico e stabilità politica, il perno intorno a cui ruota la sopravvivenza di diversi altri paesi dell’Est e Centro Africa, rischia di precipitare nel caos.
Sbaglia chi parla di nuovo Ruanda. Il contesto è troppo diverso. Certo, ci sono ingiustizie storiche, una maldistribuzione o addirittura non-distribuzione delle ricchezze del Paese che hanno creato una più che giustificabile voglia di partecipare al benessere, un sordo e profondo risentimento nella masse dei disperati ammassati nelle baraccopoli come Kibera: ciononostante il Kenya avrebbe potuto superare questi problemi con i suoi tempi e con le sue dinamiche interne. Senza violenza. Sono state le pesanti interferenze esterne che hanno reso possibile l’ esplodere della violenza. Ciò che è avvenuto in Kenya va visto nel contesto più vasto di una nuova corsa all’Africa, alle sue ricchezze. In sintesi, fino pochi anni fa la competizione era fra Usa e Francia, ed era giocata in sordina, con toni da finti gentiluomini. Adesso la Francia è rimasta indietro e la Cina sta emergendo come una competitrice. L’ evidente supporto logistico e massmediatico che Usa e Gran Bretagna hanno dato all’opposizione – esaltandone gli aspetti positivi e tacendone le gravi pecche – è stato senz’ altro motivato anche dal fatto che Kibaki ha incominciato a guardare a Oriente: per ragioni puramente commerciali, non ideologiche. Le perdita per tante compagnie occidentali la perdita di contratti estrememnte lucrosi, come quello della forniture per le auto al governo e polizia del Kenya, è una delle ragioni di questo voltafaccia.
Dall’inizio degli anni ’90 si verifica tutta una serie di insipienti interventi occidentali che col pretesto di sostenere la democratizzazione hanno causato danni enormi: l’intervento armato in Somalia, il sostegno dato a Mobutu prima e a Kabila poi in Congo, il contrabbandare l’ugandese Museweni o il sudanese John Garang, o l’etiope Meles Zenawi, come la soluzione ai problemi dei loro paesi, solo per capire più tardi di aver aperto la strada a nuovi dittatori. Ma la responsabilità di questi disastri avvenuti o in fieri, per la maggioranza dei mass media internazionali, è sempre e solo dell’ Africa e degli africani che sono immaturi, violenti e tribalisti.
La Chiesa africana in questo contesto tormentato fa fatica a trovare una proprio identità e una propria strada. Le voci che richiamano alle esigenze del Vangelo sono ancora troppo timide. Il secondo Sinodo Africano, previsto per l’ anno prossimo, ha avuto dal Papa il compito di riflettere sul tema «La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, delle giustizia e della pace». Niente di piu’ urgente e rilevante.

 

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