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Referendum

Mercoledì 4 agosto i keniani potranno votare in un referendum pro o contro una nuova costituzione. Il processo per la revisione della costituzione è iniziato quasi vent’anni fa, ed è importante che si arrivi ad una migliore distribuzione dei poteri, che nelle presente costituzione sono concentrati nel Presidente.
Già nel 2005 c’è stato un referendum e la costituzione proposta non era molto diversa da quella proposta adesso. Ma allora Mwai Kibaki, il Presidente, e Raila Odinga, attuale Primo Ministro, erano ai ferri corti perché Odinga voleva far pagare a Kibaki il non aver mantenuto la promessa di creare il posto di Primo Ministro, pensato solo per lui, dopo le elezioni del 2002. La proposta del 2005 fu bocciata, e i due andarono alle elezioni del 2008 l’un contro l’altro armati, letteralmente, causando la disastrosa violenza post-elettorale, con oltre mille morti documentati. Poi venne elaborata una proposta che prevedeva la presenza di un primo ministro, ed era estremamente farraginosa nel tentare di attribuire le competenze ad un esecutivo diviso in due. Tale era la proposta fino a pochi mesi fa. Poi i due hanno capito che conveniva ad entrambi accordarsi. A Kibaki per lasciare comunque un’eredità storica positiva, visto che non potrà essere rieletto per la terza volta, e a Odinga perché finalmente il sogno della sua vita di diventare Presidente del Kenya sembra a portata di mano, e quindi non gli interessa più una costituzione che preveda la figura del Primo Ministro.
Una serie di consultazione frenetiche, più o meno manovrate anche dalla “comunità internazionale”, hanno quindi portato a che i due protagonisti di questa vicenda si accordassero per interposti partiti, a cambiamenti sostanziali, come appunto la cancellazione del posto di Primo Ministro, a quella che ci era stato fatto credere fosse una costituzione frutto di una consultazione popolare.
Fra gli elementi nuovi che sono entrati c’è una cauta apertura all’aborto e l’accettazione dei tribunali islamici (Kadhi) da estendere a tutto il territorio del Kenya. Le corti Kadhi nella costituzione vigente erano ammesse solo sulla costa, per una striscia di 30 chilometri, ed erano state pensate al momento dell’indipendenza, come un compromesso, che sarebbe sparito nel tempo, per convincere le popolazione islamiche della costa di far parte del nascente paese.
Per aggravare la cosa, all’ultimo momento, nella notte prima che la nuova versione ufficiale della nuova costituzione venisse stampata, qualcuno ha inserito due paroline nel capitolo sui diritti umani che di fatto li limitano se ci fosse in gico la sicurezza nazionale. Investigazioni sono in corso, ma ancora nessun responsabile è stato trovato. Così questa bozza costituzionale che è stata ritoccata da un ignoto tipografo è quella che sarà sottoposta a referendum.
I leaders cristiani del Kenya l’altro ieri hanno firmato una dichiarazione (la metto integralmente nella versione inglese di questo stesso post) sottolineando che per molti aspetti la nuova proposta è migliore rispetto alla costituzione vigente, ma chiedendo ai cittadini di votare contro perché la nuova proposta non salvaguardia la sacralità della vita umana, l’educazione morale dai giovani e il principio dell’uguaglianza religiosa. Contemporaneamente invitano alla pace e comunque ad accettare il risultato.
Che la posizione dei leader religiosi cristiani, vescovi cattolici inclusi, sia discutibile è fuori di dubbio, ma è pure fuori di dubbio che sarebbe bastato un po di buona volontà da parte di tutti per arrivare ad una proposta costituzionale che avrebbe messo d’accordo almeno il 90 per cento dei keniani. Invece adesso si va al voto col rischio che la nuova costituzione passi, e che passerà mi sembra certo, con un margine di voti poco convincente, intorno al 60 per cento. Che per una nuova carta per cui ci si è battuti per vent’anni non è una gran bella cosa.
Un altro elemento causa di grande tensione è la pessima compagnia in cui si ritrovano i leader religiosi: l’ex-Presidente Daniel Arap Moi e William Ruto. Per ragioni diverse da quelle dei leader cristiani, sostanzialmente per evitare che i latifondi di cui si sono impadroniti in passato vengano rimessi in discussione, entrambi sono contrari alla nuova proposta, ma non hanno proprio nessuna credibilità e autorità morale. Si fanno forti solo del supporto della loro etnia. Il primo ha gestito il paese come un dittatore per 24 anni, arraffando tutto ciò che c’era a disposizione, incluso una bella parte dei migliore terreni del Kenya. Inoltre alimentando la corruzione è arrivato a controllare un buon quarto dell’economia del paese. Il secondo è notoriamente fra i principali indiziati come responsabile delle violenze post-elettorali del 2008.
La tensione fra i Verdi (il colore assegnato dalla commissione elettorale al Si) e i Rossi (il colore del No) è grande. Ci sono stati già alcuni morti fra le vittime di due bombe rudimentali esplose durante una manifestazione per il No, e un vescovo di un piccola chiesa protestante è stato ucciso sembra in connessione con una sua focosa omelia per il No.
Un buon segno per Nairobi è che Kibera, negli ultimi decenni il focolaio di ogni violenza esplosa in città, è tranquilla. Tutti sembrano d’accordo per votare Si. La maggioranza perché Luo sostenitori di Raila, più i Kikuyu sostenitori di Kibaki e i musulmani, i cosiddetti Nuba che hanno fatto delle corti Kadhi una questione di principio. Quindi non ci dovrebbero essere ragioni di conflitto.
Kivuli, a Riruta Satellite, sarà sede elettorale. Anche qui non ci aspettiamo problemi, come non ne abbiamo avuti nel 2008, anche se è vero che sia a Kibera come a Riruta o qualsiasi altro quartiere di Nairobi basta che qualcuno paghi 3 euro al giorno ad un centinaio di giovani disperati per innescare il caos.
La possibilità di violenza per una vittoria del Si invece è molto concreta nella Rift Valley, che è il feudo di Moi e di Ruto.
Chiunque vinca, è inutile illuderci, siamo in un tempo di crisi. La crisi economica internazionale, i cambiamenti sociali; il venir meno della tradizione; le pesanti interferenze degli americani, i quali se sono riusciti a dimostrare qualcosa negli ultimi venti anni è che dell’Africa non capiscono niente, causando, dove sono intervenuti come in Somalia e Congo, solo disastri peggiori di quelli che erano in corso. I keniani sono stanchi e sfiduciati, hanno ascoltato troppe grandi promesse non mantenute, si sentono incapaci di cambiare il loro paese, vittime piuttosto che cittadini partecipi. Sentono dire che sono solo il primo esperimento di un programma americano che intende imporre a tutti i paesi “amici” una costituzione sul modello keniano.
In questa situazione c’è il pericolo di seguire sogni e illusioni senza nessuna consistenza, solo perché un leader che sa parlare bene li fa balenare davanti. Gli uomini politici keniani hanno un’abilità straordinaria, mi vien quasi da dire diabolica, a sfruttare le fragilità della loro gente. I piazzisti di sogni vedono un futuro radioso, sopratutto per se stessi.
Noi cristiani abbiamo fatto dire a Dio tante cose diverse, e anche noi abbiamo seminato illusioni, quindi dobbiamo essere umili e stare coi piedi in terra, favorendo i migliorami possibili, invece di sognare la perfezione.
Io continuo a credere che la desacralizzazione di tutti i poteri, anche quello della chiesa, che ci ha insegnato Gesù e la forza del suo Spirito, ci hanno avviato su una strada di umanizzazione che non possiamo più abbandonare, anche se le tentazioni sono tante. Ci muoviamo verso una creazione nuova, verso una rivoluzione interiore che deve concretizzarsi in lavoro quotidiano per la giustizia a le pace, vita offerta, sangue, storia. Se leggo le dichiarazioni dei politici e dei leader religiosi magari mi cascano le braccia, ma se guardo i ragazzi e le ragazze di Kivuli, Anita’s Home, Tone la Maji, e tutti gli altri allora credo che anche in Kenya sia possibile andare avanti anche dopo il 4 agosto.

One Comment

  1. Adele says:

    Le tue parole, frutto di riflessione profonda, aprono squarci di comprensione molto ampi.
    La fede è un dono ma non si può mai darla per scontata e nel mio caso è intermittente.
    Kivuli, sede elettorale per il referendum è un’ulteriore prova dell’assoluta necessità di spazi in cui far agire la democrazia.
    Il futuro lo facciamo tutti insieme con le buone intenzioni sperando di confinare i fautori d’odio nella prigione di disprezzo che meritano.
    Con immensa stima.
    Adele Caputo

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