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March 17th, 2012:

A Witness – Un Testimone

Ieri sera Jean Vanier era a Betlemme, dove due anni fa il movimento mondiale da lui fondato – L’Arche – ha avviato una comunità per persone disabili. Parlava in un posto nemmeno a 50 metri da dal collegio dei Salesiani che mi hanno dato ospitalità, non potevo mancare. Dall’inizio di Koinonia, in Zambia, oltre trent’anni fa, abbiamo usato il suo libro “Community and Growth” (pubblicato in italiano con il bel titolo “Comunità, Luogo del Perdono e della Festa”) per capire cosa significa concretamente vivere in una comunità, la non-violenza, l’accettazione degli altri.

Vanier adesso ha 83 anni, e la forte corporatura di questo ex ufficiale della Marina canadese si è un po piegata, e parla seduto su una sedia in mezzo al palco. Ma il messaggio è espresso con grande forza, toccando il cuore di tutti i presenti. Quando si ritirò dalla Marina, dopo la seconda guerra mondiale, ottenne un dottorato in filosofia e insegnò questa materia per alcuni anni in una università canadese. Quando accettò la sfida di vivere in comunità con alcune persone disabili la sua vita cambiò, iniziando un cammino personale per diventare umano, o “Becoming Human”, come scrisse nel libro con questo titolo – pubblicato in italiano con il meno felice titolo “Abbracciamo la nostra Umanità”.

Ieri ha parlato sul tema “Essere umani vuol dire essere fragili”. Ho messo giù qualche nota di quello che ha detto: “Il potere e la forza dividono le persone, mentre la debolezza e la necessità di aiuto creano comunione. Quando si è deboli, si ha bisogno degli altri. Quando si è forti, non si ha bisogno di nessuno. Si può fare tutto da soli. La persona debole ha bisogno di stare con gli altri, e questo grido di aiuto, risveglia negli altri, i forti, gli aspetti più belli della persona umana – la compassione, la bontà, l’apertura agli altri … La nostra debolezza unisce le persone “.

Pensieri abbastanza semplici, che potrebbero essere banali in una omelia pronunciata da un povero prete che non ha avuto il tempo di prepararsi, ma certamente non sono banali quando li si sente da questo laico che parla per esperienza, che ha vissuto una vita ricca e appagante al servizio dei deboli e poveri. Vanier è un testimone del Vangelo, e ascoltandolo si può capire perché tanti hanno avuto fiducia in lui e hanno seguito la sua esperienza. Ora L’ Arche ha oltre 130 comunità sparse in tutto il mondo, o stranamente solo due in Africa, in Zimbabwe e Uganda. Perché non in Kenya? Da ieri penso che farò il poco che posso per facilitare la presenza de L’Arche a Nairobi.

Questa mattina ho capito cosa significa essere debole. Mi sono svegliato molto prima dell’alba con un mal di schiena che diventava sempre più forte, fino a che ogni minimo movimento era impossibile. Ho avuto bisogno dell’aiuto di due Buon Samaritani, del tipo Salesiano, per essere vestirmi, arrivare alla loro auto, ed essere portato a una piccola clinica gestita da un medico palestinese, che mi ha visitato, dato dei farmaci, fatto quaranta minuti di fisioterapia e massaggi, e mi ha rimesso in forma. Alle parole di Vanier è seguita la lezione pratica!

Ecco alcune citazioni da Jean Vanier “Community and Growth”.

“I poveri sono sempre profetici. Come veri profeti sempre sottolineano, rivelano il disegno di Dio. Ecco perché dobbiamo prendere il tempo di ascoltarli. E questo significa stare vicino a loro, perché parlano raramente, e con il silenzio. Hanno paura di parlare, non hanno di fiducia in se stessi perché sono stati spezzati e oppressi. Ma se li ascoltiamo, ci riportano a ciò che è fondamentale.”

“La solitudine vuol dire sentirsi indesiderati e non amati. La solitudine ha il gusto della morte. Non c’è da meravigliarsi se le persone che sono disperatamente sole sono preda della malattia mentale o della violenza, per tentare di dimenticare il dolore interiore “.

“Quando i bambini sono amati, vivono circondati di fiducia, la loro vita e il loro cuore si aprono a coloro che li rispettano e li amano, che li capiscono e li ascoltano.”

“Una comunità è vera e viva solo quando i suoi membri accettano che non saranno capaci di realizzare grandi cose, che non saranno eroi, ma semplicemente vorranno vivere ogni giorno con nuove speranze, come i bambini, con stupore, come sorge il sole e in ringraziamento dal tramonto all’alba. La comunità si crea solo quando i membri riconoscono che la grandezza dell’uomo è quello di accettare la sua insignificanza, la sua condizione umana e questo mondo, e ringraziano Dio per aver messo in un corpo finito i semi di eternità, che diventano visibili nei piccoli quotidiani gesti di amore e di perdono “.

“Dobbiamo ricordarci sempre che non siamo i salvatori. Siamo semplicemente un piccolo segno, tra migliaia di altri, che l’amore è possibile, che il mondo non è condannato al ripetersi di una lotta tra oppressori e oppressi, che la guerra di classe e di popoli non è inevitabile. “

Immagino Jean Vanier offrire quest’ultima frase con lo stesso tono del suo discorso di ieri, cosi pacato che anche se l’ascoltatore si identificasse più con il cane che non con il padrone, non potrebbe sentirsi offeso…

“… Il progresso materiale individualista e il desiderio di guadagnare prestigio imponendosi sopra tutti gli altri sono diventati più importanti che non l’amicizia, la compassione e la comunione con gli altri. Ora le persone vivono più o meno isolate nella loro casa, proteggendo gelosamente le loro proprietà, sempre occupate a acquisirne altre, con una scritta sul cancello che dice ‘Attenti al Cane”.

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