Una vita in Africa – A life in Africa Rotating Header Image

July 15th, 2018:

Frammenti di vita nuba (2)

Il viaggio continua. E diventa sempre più un viaggio nella memoria degli incontri, delle persone che ho avuto su queste montane. Ogni volta che la vegetazione si dirada, che la pista si apre, che si sale un po in quota e lo sguardo può andare lontano ci sono immagini che ritornano a vivere.

Ecco il mercato che era stato bombardato e incendiato nel 2012 dove Enzo Nucci, il giornalista RAI di Nairobi, ha fatte delle lunghe riprese. Quel mucchio di pietre era una capanna centrata da una bomba, e una donna anziana, unica sopravvissuta della famiglia che vi abitava perché era nei campi a lavorare, aveva voluto portarci poco lontano a visitare le tombe dei figli. Un ragazzino che per la paura e per proteggersi si era abbracciato al tronco di un grande albero ci aveva mostrato i due moncherini che gli erano rimasti, entrambe le mani intrecciate sul tronco portate via da una scheggia di bomba. Anche lui aveva voluto mostrarci una cosa nascosta poco lontano, una bomba inesplosa, a metà conficcata in terra. Oggi non c’è traccia di quel bombardamento, se non qua e la poche pietre sovrapposte che indicano dove c’erano negozietti e capanne. Sei anni di alternanza di caldo secco e piogge violente hanno permesso alla natura di cancellare i segni di quel dolore. L’architettura nuba, tutta fatta con materiali reperibili in loco – pietre a secco per le mura, tronchi e erba secca sapientemente modellati per i tetti – non resiste al tempo.

Ecco Teberi, il villaggio del catechista Jibril Tutu, dove per la prima volta ero arrivato nel 1995 sui monti Nuba, atterrando con un piccolo, piccolissimo aereo dove c’eravamo stretti stretti, oltre al pilota, solo Davide De Michelis, Gian Marco Elia, Albert Mori ed io. Albert, keniano e compagno dell’avventura di iniziare New People, aveva compiuto da poco i vent’anni. Jibril era un uomo straordinario che poi mi prese sotto la sua protezione quando qualcuno voleva impedirmi di visitare i Nuba. Magro, dalla camminata veloce e con una voce straodinaria per autorevolezza e dolcezza, era il padre, il parroco e il vescovo della comunità cristiana che aveva fondato, della quale aveva battezzato tutti i membri, che guidava nella preghiera domenicale. Quando Jibril mori, pochi anni fa, padre Boutrus, un prete nuba che era stato istruito e battezzato nella fede da lui, mi scrisse “abbiamo perso un grande Padre della Chiesa Nuba”. Usando giustamente le lettere maiuscole.

Ecco il villaggio dove per un paio d’anni ha vissuto Musa Arat, il catechista di Heiban che i militari governativi avrebbero voluto catturare per infliggergli una punizione esemplare. Aveva osato resistere alle lusinghe di un lavoro retribuito nelle file governative pur di non rinunciare alla sua fede. Un uomo piccolo, rotondo e mite, già gravemente malato di cuore. Lo avevo conosciuto a Kujur Shabia, il villaggio poco lontano da Heiban da dove aveva dovuto fuggire. Quando sono arrivato a Kurci in una notte di giugno del 1996 con Albert Mori e la nostra guida nuba Josep Aloga, ero distrutto dalla stanchezza di una camminata interminabile alla quale eravamo stati costretti per allontanarci da una battaglia. I ribelli non volevano assolutamente che corressimo il pericolo di essere coinvolti in uno scontro, se fossimo stati catturati sarebbe stata una vittoria propagandistica importante per i governativi. Musa quella notte aveva mobilitato tutta la famiglia per prepararci un te addolcito con miele selvatico e l’hassida – polenta di farina di durra. Non c’era altro nella sua casa ma ci sembrò una cena sontuosa. .

Ecco la collina di Regifi. Si eleva per forse trenta meti sulla fertile piana circostante, un mucchio di enormi pietre lisce che sembrano posizionate dalla mano di un gigante, tenute insieme da un po di terra. L’abilità dei nuba di costruire con le pietre a secco l’aveva trasformata in una specie di castello fortificato, adornato con piante sevatiche che alla fine della stagione delle piogge si coprono di fiori rosa e rossi. E’ rimasto solo il grande pennacchio dell’albero di neem quasi in cima, e due o tre case. Oggi la gente si è ridistribuita su tutta l’area. Qui crescono palme che producono una grande noce dalla polpa rossa, dolce e nutriente. Le mandrie di mucche, capre e pecore stanno lentamente tornando nei recinti per la notte.

Scende la notte, e incominciano scrosci di pioggia. Attraversando un wadi, un fiume ancora secco che potrebbe improvvisamente essere invaso da una valanga d’acqua, affondiamo nella sabbia. Non sarebbe piacevole fermarci qui nell’attesa di improbabili soccorsi, Qualche minuto di preoccupazione, e il bravissimo autista riesce a ripartire. Ma è ormai impossibile riconoscere i posti che attraversiamo.

E’ quasi mezzanotte quando improvvisamente, a meno di venti metri di distanza, riconosco il piccolo, elegantissimo minareto di Kauda. Una freccia bianca con decorazioni verdi, gialle e rosse puntata verso il cielo. Per oggi siamo arrivati.
(continua)

Italiano English
This blog is multi language by p.osting.it's Babel