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Una Storia di Pasqua – An Easter Story

Pasqua, l’inizio di un mondo nuovo, ma il vecchio non vuole andarsene. Il ricco epulone resta tenacemente attaccato alle sue ricchezze, e il povero Lazzaro deve accontentarsi delle briciole. L’uomo vecchio non dà spazio all’uomo nuovo. Le promesse che abbiamo fatto, o che i nostri genitori hanno fatto per noi, al momento del battesimo sono troppo difficili da mantenere. Solo il Risorto ci aiuta a continuare il faticoso cammino, a tornare ogni volta a testa bassa al suo seguito, bisognosi del suo perdono e della forza del suo Suo Spirito.

Montagne Nuba, marzo 2012. Zeinab cammina a passo sciolto, anche se le forze sono poche, con un figlio di pochi mesi in braccio e altri due al seguito. La terra è bruciata da un sole impietoso, non piove da cinque mesi e per arrivare alla prossima stagione delle piogge di mesi ce ne vogliono almeno altri due. Oltre al bimbo Zeinab porta in equilibrio sulla testa una grande cesta contenente una coperta, pochi utensili, noccioline, durra e verdure essiccate sufficienti per mangiare per una paio di settimane, forse tre, e un contenitore di plastica con dell’acqua, ma quasi vuoto. Il maschio e la femminuccia di cinque e tre anni che la seguono, ogni tanto rallentano, e Zeinab si deve fermare spesso per non perderli.
Sono stanchi e vorrebbero fermarsi, ma non si può, Zeinab sa che nella zona ci sono pattuglie governative che sparano a vista. Per tre giorni sono stati nascosti in una grotta sul fianco di una montagna, ma poi ha deciso di tentare di passare il confine, mancano ancora una ventina di chilometri, laggiù a sud, per trovare sicurezza e qualcosa da mangiare, soprattutto da bere.
All’improvviso arrivano tre camionette. Gli alberi sono troppo radi per potersi nascondere. I soldati sparano, ridendo, per divertirsi, e Zeinab e i figli sono paralizzati dalla paura. I due figli, nonostante siano un po’ più lontani, vengono quasi subito colpiti in pieno. Zeinab stringe più forte il bambino che ha in braccio, sa che non può fare niente se non morire abbracciata al piccolo. Il comandate – pietà o fretta di andare altrove – grida “Basta, non abbiamo tempo da perdere”.
Zeinab depone il bambino e compone i cadaveri dei due figli morti sotto un albero, come per proteggerli dal sole, e li copre come può con delle pietre, in un ultimo gesto di affetto. E’ un lavoro lungo e faticoso, ma non può lasciare i corpi dei figli in pasto agli animali selvaggi.
La sera del giorno dopo arriva al campo profughi di Yida, Stremata, mangia e beve a piccoli sorsi, mentre nutre il figlio nello stesso modo. Sa che dopo la fame e sete che hanno patito deve assumere tutto con calma. Sembra non sentire niente, le parole di consolazione dei primi soccorrritori e degli altri profughi non la toccano, è in un altro mondo, tutta la sua amorosa attenzione concentrata sul figlio. Quando il piccolo sembra sazio, sempre tenendolo in braccio, gli parla come fosse un adulto, sussurrando: “Kallo, noi perdoniamo. I tuoi fratelli sono con Dio, e non vogliono altro odio e altre morti”. Poi si dà vinta e si lascia andare ad un pianto sommesso e senza lacrime.

Una storia di Pasqua? Si perché l’odio e la morte, non possono vincere contro la forza dell’amore e del perdono, che rendono possibile una vita nuova. Me l’ha raccontata un operatore sanitario keniano rientrato a Nairobi dal campo profughi di Yida, nel Sud Sudan, al confine col territorio dei Nuba che è sotto il controllo di Khartoum. Mi dice che nelle ultime settimane ha visto tante sofferenze causate dalla guerra, niente però lo ha toccato come le parole che ha sentito mormorare da Zeinab al piccolo Kallo.

Marzo 2012. I Nuba tornano nelle grotte per sfuggire ai bombardamenti. The Nuba take refuge in the caves to escape air bombings.

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